Qual è il quinto punto cardinale, quello che, se manca, può compromettere il nostro orientamento interiore, lo sviluppo sereno di una propria identità? La risposta che sembra dare Fifth Point of the Compass, il documentario di Martin Prinoth, regista bolzanese al suo primo lungometraggio, è la Madre.
Martin Prinoth racconta una storia a lui molto vicina, quella di Markus, suo cugino, nato in Brasile nel 1985, anno in cui crollò la dittatura militare e le frontiere si aprirono ad adozioni internazionali selvagge ed irregolari. Dal 1980 al 1990 circa diciannovemila bambini abbandonarono il Brasile senza quasi lasciare traccia. Tra questi c’erano anche Markus e suo fratello George che furono adottati da una famiglia di Ortisei, paesino di montagna in Val Gardena sulle Dolomiti. La vita dei due bambini trascorse felice grazie alle amorevoli cure della famiglia adottiva, ma non senza difficoltà di integrazione dei due brasiliani in un contesto sociale piuttosto chiuso e arcaico, dominato dalle ideologie autonomiste di partiti come la Stella Alpina, oggi vicini alla Lega Nord.
Cercando di comprendere il senso di esclusione e sradicamento provato da Markus e George durante la loro infanzia tra i monti innevati delle Dolomiti, ci torna in mente uno spezzone del film Fantozzi contro tutti, quando il ragionier Fantozzi insieme ai suoi colleghi Filini e Calboni, si recano proprio ad Ortisei per una settimana bianca, e ne passano di tutti i colori venendo apostrofati in continuazione dagli abitanti del luogo con i classici stereotipi anti-italiani (“voi mafiosi italiani che mangia sempre spaghetti”). Spezzone comico che può sicuramente darci la misura di una certa chiusura al diverso o diffidenza nei confronti dei non oriundi del luogo.
Forse anche a causa di questo contesto sociale Markus e George sviluppano nel tempo un senso di insofferenza nei confronti della loro patria di adozione, nonostante siano cresciuti nel culto delle loro montagne e imparando la lingua ladina come madrelingua. Il primo a partire alla ricerca delle proprie radici in Brasile fu George, il fratello maggiore. Ma non farà mai ritorno da questo viaggio: il suo aereo, un Air bus della Air France partito il 1° Giugno 2009 da Rio de Janeiro e diretto a Parigi, precipitò rovinosamente nell’Oceano Atlantico, causando la morte di 216 passeggeri e 12 membri dell’equipaggio. Fu il peggior incidente nella storia dell'aviazione francese e il più catastrofico per una linea commerciale.
A distanza di anni Markus decide di partire per lo stesso viaggio. Alla ricerca del suo quinto punto cardinale, delle sue origini, della sua identità. In questo percorso a ritroso sulle orme di sé stesso, nel tentativo di ricostruire una storia personale che illumini di un senso identitario la propria vita, la grande assenza della Madre come archetipo ontologico del sé è la vera protagonista. A tratti colmata da personaggi di sostituzione, presenti nelle vite parallele di migliaia di altri orfani brasiliani, la “Nonna Fiore”, una novantenne che ha dedicato ai bimbi in istituto tutta la sua vita, o una delle madri protagoniste di questa storia di abbandono e disperazione, che accetta di testimoniare davanti alla telecamera questa ferita ancora aperta, la rinuncia a 3 dei 5 figli partoriti in totale povertà.
Sullo sfondo del racconto le immagini scelte dal regista sono quelle dei luoghi in cui si colloca il corpo del protagonista. Le prime impronte sono quelle lasciate nelle neve delle Dolomiti. Le ultime, quelle forse più radicate, sono quelle dei piedi di Markus nella sabbia della spiaggia brasiliana. La suggestione offerta e subito condivisa dallo spettatore è quella di una naturale appartenenza del corpo al Paese che lo ha generato. In assenza della madre biologica, un ottimo surrogato per ristabilire le radici della propria identità può essere il luogo in cui sei nato. Markus ritrova nel Brasile la sua natura di uomo, la sua appartenenza ad una storia di orfanità, che non è solo sua, ma è collettiva, condivisa. E per questo solo forse più sopportabile.
L’originalità del punto di vista offerto da Prinoth con Fifth Point of the Compass risiede nel ribaltamento di una prospettiva spesso data per scontata nei film che affrontano storie di adozione: qui non è il senso di gratitudine o di affetto per i genitori adottivi a prevalere (come per esempio nel recente film biografico Lion, la strada verso casa di Garth Davis, 2016) bensì un senso di rivalsa e indispettimento per un’azione che lo ha sì salvato dalla miseria, ma in modo quasi irresponsabile e scellerato, precludendogli ogni possibilità di risalire alle sue origini in seguito, quasi rubandogli la sua identità.
A chi sei figlio? Era la domanda con cui gli adulti di Ortisei si rivolgevano ai bambini, cercando di chiarire in questo modo la loro essenza una volta per tutte e la provenienza da una famiglia. Markus è un figlio del Brasile. E con questa verità ristabilisce il funzionamento della sua bussola interna.