Leggere questo titolo nel programma della Mostra del Cinema nel 2022 accende la curiosità degli spettatori, poiché Kiev in questi ultimi sei mesi è una città verso la quale le nostre attenzioni si sono notevolmente intensificate. Ma non si parla dell’Ucraina contemporanea, vessata dall’anacronistico conflitto innescato dal governo russo a cui purtroppo ci siamo già abituati, nel nuovo film che Sergei Loznitsa aveva cominciato a comporre nella primavera del 2021 alla scoperta dei nastri del processo di Kiev. Un evento che si tenne nel 1946 e condannò quindici ufficiali per le atrocità commesse sul suolo ucraino durante l’occupazione nazista, raccontate da carnefici e testimoni nelle registrazioni del processo.

Il film è un collage che riassume i punti salienti di questo processo, nel quale il regista ha scelto cosa mostrare e cosa elidere per permettere a noi spettatori di entrare nella cupa atmosfera del tribunale e sentire le voci di chi ha compiuto e chi ha subito queste ingiustizie. The Kiev Trial è costruito in crescendo, per cui inizialmente si sofferma sui volti, sui nomi, sul lungo lavoro dei traduttori in simultanea che hanno permesso di condurre il processo in russo e tedesco, e poi progressivamente si cede il passo alle testimonianze, che diventano sempre più personali e agghiaccianti, passando da conte sommarie a racconti in prima persona di vittime scampate alle stragi di massa.

Il fatto che dietro a un documento così ricco di informazioni (che in tanti passaggi ricorda il più celebre processo di Eichmann e la successiva riflessione sulla banalità del male da parte di Hannah Arendt) ci sia un preciso sguardo registico che ha deciso cosa escludere, guidando il nostro sguardo in un percorso ben definito, serve una duplice riflessione: da una parte Loznitsa ci fornisce un documento che, in appena un’ora e mezza, sintetizza un evento e crea un supporto quasi didattico alla scoperta di cosa è avvenuto negli anni dell’occupazione nazista; dall’altra parte però è indubbio che questo sia un punto di vista, una elaborazione di cui dobbiamo prendere atto nella consapevolezza che la storia da cui è tratta è molto più ampia e complessa. Loznitsa ha già lavorato con le immagini allo scopo di mostrarne l’ambivalenza, il loro essere documenti della realtà e al tempo stesso costruzioni della stessa, rappresentazioni simboliche che il nostro sguardo deve interrogare.

È forse per questo che il film si conclude in una esplosione di violenza, mostrandoci senza alcuna censura l’esecuzione dei gerarchi di fronte a una folla che appare sollevata e guarda ai corpi appesi come alla fine di un’epoca buia. Il fatto che questi uomini abbiano permesso innumerevoli atrocità non lede al disagio che proviamo di fronte alla morte in diretta, nonostante siano passati più di settant’anni da quei fatti. Intimoriti da queste immagini, torniamo a pensare che oggi nuove violenze si stanno compiendo e, nonostante sia possibile registrare e diffondere informazioni con innaturale rapidità, le stiamo tenendo lontane dai nostri occhi.