Il 1971 è un anno importante per il cinema americano. Hollywood si sta rinnovando e, insieme a The Last Movie, escono due film con intenti simili ma esiti completamente diversi: I compari di Robert Altman e L’ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich. Il primo condivide con il film di Hopper la volontà di criticare la mentalità americana partendo dalla decostruzione del western, il genere che più di tutti ha celebrato il mito degli U.S.A., l’altro invece si propone, già dal titolo, di segnare la cesura fra il vecchio modo di fare cinema e uno nuovo, che sta muovendo i primi passi. Nessuno dei due riesce però a convertire il proprio messaggio in forma, ponendosi quindi in conflitto con un linguaggio cinematografico che ritengono obsoleto, senza tuttavia riuscire a distaccarsene.
Hopper è più radicale e trasforma un film Hollywoodiano in un’opera metadiscorsiva, un laboratorio in cui sperimentare nuove formule espressive. In questo senso la sua operazione ricorda l’opera di cineasti come Godard o Debord, ma la verità è che The Last Movie ha più affinità con il mondo della musica che con quello del cinema. Non bisogna dimenticare che mentre nascevano band come i Blue Cheer o gli MC5, Hopper esordiva come regista con Easy Rider, il film che più di tutti ha influito sull’estetica del neonato hard rock, fatta di giubbotti di pelle e motociclette. La musica di quell’epoca e The Last Movie sono inscrivibili nell’ambito della controcultura, della critica sistematica alle convenzioni borghesi e dell’accanimento cotro il consumismo. La processione che apre il film sintetizza bene tutta l’opera, in quanto viene mostrato un corteo trasportare la riproduzione di unna macchina da presa insieme a crocifissi e altre icone religiose, mentre una voce fuori campo annuncia “la mostra di bellezza dei film”.
Il culto della bellezza, la celebrazione dello spettacolo, il feticismo della merce vengono esposti brutalmente in questa prima sequenza. Sempre in campo musicale sarà Marilyn Manson a raccogliere l’eredità di Hopper e ideare potenti quanto dirette metafore per descrivere questi fenomeni, ad esempio “The fascism of beauty” per definire l’ossessione per la bellezza, oppure il nome della città fittizia in cui ambienta l’omonimo disco, Holy wood, gioco di parole fra l’albero dell’Eden e l’industria cinematografica, città la cui religione ufficiale è il “celebritarianesimo”. Il rapporto di The Last Movie con la musica non finisce qui, dato che è proprio a partire dalla dimensione sonora che Hopper decostruisce il linguaggio cinematografico. Tradizionalmente il sonoro è considerato un prezioso alleato per l’effetto di continuità, ma qui ne diventa invece nemico, producendo effetti di stacco molto bruschi nel passaggio da una sequenza e l’altra. Non c’è spazio sufficiente per descrivere tutti gli artifici a cui ricorre Hopper, quello che conta è il risultato: uno dei più riusciti e memorabili “atti terroristici” verso il cinema.