L’immagine di Riccardo III – l’ultimo dei re inglesi Plantageneti, sconfitto dai Tudor nella battaglia di Bosworth del 1485 – è quella costruita dalla tragedia shakespeariana che porta il suo nome: il re gobbo e deforme, che “non potendo fare il galate ha deciso di fare il furfante”, il simbolo della ricerca del potere a tutti i costi, pronto a uccidere anche gli innocenti nipoti pur di conquistare la corona e salire al trono.
Il feroce usurpatore creato dal Bardo ha superato la verità storica, si è impresso nella memoria collettiva, ha riempito teatri e cinema (è, dopo Amleto, tra i personaggi di Shakespeare più portati sul grande schermo, da quello ‘tradizionale’ di Olivier a Ian McKellen in abiti anni Trenta e simbologie naziste, passando per la riflessione metateatralcinematografica di Riccardo III – Un uomo, un re di Al Pacino e gli splendidi B-movie di Rowland V. Lee e Roger Corman con Basil Rathbone e Vincent Price). Non proprio una figura amichevole e rassicurante, eppure diviene l’ossessione della protagonista del nuovo film di Stephen Frears, The Lost King, in programma alla Festa del Cinema di Roma.
Come in molto cinema recente del regista inglese, l’ispirazione viene da una storia vera e, allo stesso modo del fortunato Philomena, trova l’appoggio in sceneggiatura (e come co-interprete) di Steve Coogan. Philippa Langley, due figli e un ex marito al quale è ancora molto legata, è un’impiegata modello, ma è affetta da encefalomielite mialgica, e si vede sempre sorpassata e messa da parte a causa della sua malattia. Una rappresentazione del Riccardo III la farà appassionare alla figura del re, il quale comincerà ad apparirle in giardino, in casa, per strada. La sua missione sarà cercare i resti del re e dargli la giusta sepoltura. A interessarla non è tanto la scoperta archeologica: l’obiettivo è dimostrare alla Storia e all’opinione pubblica che l’usurpatore non era tale, che Riccardo non era quel feroce sanguinario che la propaganda dei Tudor ha voluto raccontare. E che essere malati non basta per essere considerati dei mostri.
Con la protagonista di The Lost King, interpretata da una sempre bravissima Sally Hawkins, Frears aggiunge un altro ritratto alla sua galleria di sconfitti vincitori, di donne piccole piccole che nel perseguire un obiettivo, nell’inseguire la verità e difendere i propri principi, salvano se stesse e si fanno gigantesche, come era successo a Judi Dench in Philomena e a Meryl Streep in Florence (e in modo non troppo dissimile anche alla Queen di Helen Mirren). La costruzione è, fin dai titoli di testa che ricordano quelli di Saul Bass per Intrigo internazionale e Psycho, quella di un thriller, di un giallo con alla base un’indagine folle e un po’ insensata, ma forse proprio per questo così incredibilmente coinvolgente.
È la fascinazione per chi combatte contro i mulini a vento, per chi crede nei propri sogni anche quando non sono del tutto reali e realizzabili. E, a volte, nel momento in cui la vita si avvicina alla fiaba, allora capita anche che le allucinazioni e i presentimenti si dimostrino fondati. Frears, da sempre critico con le istituzioni, ci inserisce un ritratto al vetriolo all’establishment accademico. Perché la realtà non è comunque di zucchero filato. Il principe più che azzurro rischia di essere blu notte, oscuro e sfumato e infine più umano (ma almeno non disumano). E anche il lieto fine, che sarebbe d’obbligo, è amaro: i re e le regine, qui, rimangono comunque senza corona.