Bellissimo da vedere, molto più difficile da giustificare: questo il sentore generale intorno al kolossal (pseudo)storico di Vàclav Marhoul su un bambino ebreo che attraversa gli orrori della seconda guerra mondiale. Il regista ceco guarda in senso ampio al grande cinema d'autore nordeuropeo, di cui ripropone ieratismi e preziosità visive ma soprattutto la forza d'urto dei suoi esponenti più famigerati. Nelle tre ore turgide, martellanti di immagini e parche di parole di The Painted Bird succede veramente di tutto, da mutilazioni genitali femminili che scommettiamo scalderebbero il cuore di Lars von Trier, a una sequela di animali agonizzanti che sembra uscita direttamente da quello gelido di Michael Haneke, ed è meglio fermarsi qui, prima di rovinare le molte altre perle che con forza inventiva (dovuta al romanzo di Jerzy Koziński) e di messinscena il film regala a piene mani dall'inizio alla fine.

Alla classica obiezione (difficile da confutare ma abbastanza sterile) secondo cui estetizzerebbe ogni sorta di nefandezze, e a quella già in precedenza rivolta al romanzo di trattare la Storia con un po' troppa disinvoltura, fornendo un ritratto dell'est Europa bellico che qualcuno sta paragonando ai più tetri mondi medievali del fantasy, se ne aggiungono due che invece vorremmo almeno in parte confutare: la prima riguarda la gratuità del tutto, e in qualche modo sembra perdere il punto del film, la cui rappresentazione della violenza varca a tal punto i limiti del parossimo da guadagnarsi in un certo senso un suo spazio di riflessione a parte. Quando la violenza interviene in un contesto la si soppesa, la si rapporta alle sue motivazioni, perpetratori e vittime, e si traggono le relative conseguenze, comprese eventualmente quelle morali relative al suo essere ingiustificata. Ma che fare quando la violenza è il contesto?

A pensarci, forse l'equivalente più credibile di The Painted Bird è letterario e si trova in certi romanzi (i più estremi) di Cormac McCarthy, come Figlio di Dio o ancor più Meridiano di sangue, in cui protagonisti amorfi, privi di un guizzo vitale che oltrepassi il semplice istinto bruto di sopravvivenza, transitano per mondi in rovina dove le morti e il sangue si accumulano in quantità apocalittiche. È così il bambino protagonista del film di Marhoul? All'inizio no, anzi è l'anima pura che tenta fallendo miseramente di usare un po' di compassione al suo prossimo. Poi però, esattamente come lo spettatore, una bastonata alla volta si assuefà alla violenza, arrivando a digerirla, a percepirla come unica realtà possibile, e allora eccolo a poco a poco iniziare a reagire, convertire l'iniziale dolcezza in una corazza impenetrabile.

Non è quindi del tutto vero, per rispondere all'altra obiezione, che The Painted Bird resti sempre uguale a se stesso. Addirittura - pur nella sua innegabile monoliticità - riesce in qualche modo a cambiare noi, a intervenire sul nostro modo di essere spettatori, e in questo senso, pur essendo impossibile definirlo "realistico", si può considerarlo fra le più riuscite rievocazioni cinematografiche di un clima di abbrutimento e regressione morale da molti anni a questa parte.