Due fratelli che vivono in un mondo spietato e ostile, tra una landa desolata e l’altra ai confini del mondo civilizzato, uno scienziato con una formula chimica per scovare pepite d’oro e un uomo assunto proprio dai Sisters per trovarlo: tra colpi di pistola, braccia mozzate e vagheggiamenti utopici, assoldati ancora una volta dal fantomatico Commodoro, i due si mettono sulle tracce del detective che avrebbe dovuto seguirlo e catturarlo, finendo, dopo qualche conversazione sul desiderio di democrazia, società prive di discriminazioni e cupidigia, per subirne il fascino e risparmiarlo.

Jacques Audiard realizza uno dei più insoliti e belli dei film in concorso. Che I fratelli Sisters sia un western piuttosto atipico e anticonvenzionale lo si capisce fin dai primi scambi di battute dei protagonisti, dalla quotidianità naif in cui sono calati e che il regista di Dheepan – Una nuova vita segue con particolare riguardo e ironia, libero di definire il genere con una sua specifica impronta, una cifra di stile prettamente francese, potremmo dire, per quanto riguarda l’insistenza sulla psicologia dei protagonisti e della loro crescita, con uno sguardo maggiormente intimistico sulla natura delle relazioni umane.  E il western viene depredato della sua epica mitologia specialmente nella caratterizzazione di questi due fratelli, due personaggi “di genere” completamente reinventati, spogliati di quell’eroismo incondizionato che distingue cowboy e pistoleri ineccepibili e resi, in un certo qual modo, anche più umani.

Con questa strana coppia, benché la presenza di figure femminili sia pressoché inesistente, Audiard tende a dirci qualcosa anche sulla mascolinità: non c’è più la rocciosa virilità di Cable Hogue o di Eastwood, quanto la naturalezza di un personaggio che per la prima volta nella sua vita utilizza uno spazzolino o scopre l’esistenza dello sciacquone della toilette, o che piange per il suo cavallo morto, oppure ancora che tratta una prostituta come una creatura preziosissima.

In I fratelli Sisters la spedizione alla volta dell’oro implica uno spostamento oltre che fisico anche spirituale, poiché tutti e quattro gli uomini, ognuno a modo suo, evolvono e acquisiscono una graduale e differente consapevolezza esistenziale, per mezzo di una struttura drammaturgica che sembra alludere a una fiaba, piuttosto che a un western e in cui ciascuno di essi si muove verso un’illuminazione, anche inconsapevolmente, la rivelazione interiore di un bene – quello materno, del focolare, in questo caso – mai completamente accolto.