The Woman Who Left, malgrado abbia vinto il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2016, è stato accantonato, messo in un cassetto e dimenticato nel giro di poco tempo. Effettivamente non è adatto alla distribuzione come un qualsiasi altro prodotto cinematografico e questo probabilmente perché è oltraggiosamente lungo (nonostante sia uno dei lavori più brevi del regista), non è avvincente ed ha personaggi che non rimangono impressi nella memoria spettatoriale, perché così vuole Diaz. Questo è decisamente un film che si può definire “da festival” e quindi destinato principalmente ad una platea formata da, pochi, cinefili. Tutto ciò fa sì che il resto del pubblico, impaurito dalla durata e dall’impegno psicologico che il film giustamente pretende, finisca per perderlo. Viviamo nell’era della diffusione di massa, ma guardare un film di 226 minuti, dove l’immagine, più che tutto il resto, è sovrana, sarebbe davvero difficile e probabilmente non lo si vedrebbe davvero.

Lav Diaz sfrutta sia il bianco e nero, ma sopratutto la fissità delle inquadrature (ad eccezione di una sola sequenza) per evidenziare la gabbia emotiva della protagonista del racconto. Infatti Horacia è stata rinchiusa in carcere, ingiustamente, per trent’anni e quando viene liberata non lo è mai del tutto. Se in un primo momento decide di tornare nella sua vecchia casa e vuole rintracciare i suoi figli, finisce poi per perdersi, tra i personaggi che interpreta, per tentare di vendicarsi dell’uomo che le ha sottratto gli anni più importanti della sua vita. Incontra così personaggi insoliti come il Gobbetto che vende i balut e la matta senza tetto che vede demoni da per tutto. La matta è forse la via usata da Lav Diaz per condurre lo spettatore alla miseria e alla crudeltà della vita nelle Filippine.

Una crudeltà spietata a cui fa da cantore e vittima sacrificale Hollanda: un travestito che ha come obiettivo quello di farsi uccidere per porre fine alle pene che è costretto a subire, essendo causa del disonore della sua famiglia. Tutto ciò succede nel 1997, l’anno in cui venne ucciso Gianni Versace e in cui morirono Lady Diana e Madre Teresa di Calcutta, ma è anche l’anno in cui i sequestri di persone erano aumentati a dismisura nelle Filippine. Sequestri che finivano con stupri, violenze e uccisioni.

La macchina da presa segue e, a volte, diventa Horacia nelle sue azioni e intenzioni che si ripetono più volte, fino a chiudersi nell’ultima inquadratura che, la vede camminare in cerchio senza mai fermarsi. Il voyeurismo di Lav DIaz, che spia i suoi attori lasciandogli spazio, fa in modo che pezzo per pezzo, inquadratura per inquadratura, si sveli quello che è stato un tempo buio per le Filippine: un passato che torna in vita.