Maria sale su un treno e si dirige verso Vienna con un compito molto importante: girare il suo documentario di laurea alla scuola di cinema e televisione ZeLIG di Bolzano, in onore di un certo Theodor. Pur senza conoscere neanche una riga di trama, ci interroghiamo naturalmente sull’identità di Theodor. Un amico intimo? Un parente lontano? Un collega? Un animale? Un defunto?

Nulla di tutto questo. Il piccolo Theodor, cinquenne austriaco, bilingue, con una fervida passione per i bisonti e per le torte al cioccolato, è una garanzia e una promessa del cinema europeo. Forse sì, è un po’presto per dirlo, però subito dopo che Maria, anzi “Momo” varca nuovamente l’ingresso della casa di Theodor (a cui aveva fatto da babysitter qualche anno prima), del fratellino Quentin, di mamma Daniela e di papà Richard, il bambino rimane subito estasiato dall’attrezzatura che la regista bolzanina porta con sé per girare il film su di lui.

Con una naturalezza incredibile, il film non è solo il racconto su Theodor, ma con Theodor: la videocamera rudimentale che Maria gli dona per le riprese (inizialmente per gioco, poi la cosa si fa seria) è il più che spontaneo prolungamento del suo corpo frenato da un disturbo dello sviluppo psicomotorio per cui non è in grado di camminare e muoversi in libertà. E allora Theodor colma questa mancanza con una visione del suo mondo mai banale, del tutto semplice ma costruttiva, per mezzo di una camera a mano, strumento comunque impegnativo per un bambino della sua età.

Insieme, Maria e Theodor costruiscono i “pezzi” di una composizione complessa, un po’come si farebbe coi mattoncini Lego o con i binari dei trenini giocattolo. Theodor registra tutto e tutti secondo la sua filosofia di bambino, dando indicazioni precise su come i suoi “attori” si devono disporre nello spazio filmico; è spesso infastidito dalla presenza ingombrante di Julian, il cameraman di Maria, che lo filma a sua volta e spesso lo distrae; apprende immediatamente la nozione di montaggio, intuendo che tutto ciò che lui riprende sarà riprodotto in successione lineare; in pochi attimi impara a premere e ripremere rec, ideare un’inquadratura e raccontare storie nuove.

La composizione complessa che Theodor contribuisce a creare è il risultato di un rapporto speciale consolidatosi nel tempo, poi bruscamente interrotto e infine riconquistato: i materiali risalenti a cinque anni prima, il girato definitivo prodotto dal bambino, l’irresistibile curiosità verso il mezzo cinema, il gioco, le paure e le riflessioni della quotidianità sono tracce impresse che nel documentario Theodor di Maria Boldrin che celebrano l’incontro casuale di due esseri umani estremamente diversi, ma accomunati da quel linguaggio straordinario che è il cinema.