“Quando ho fatto Tire-au-flanc ero un po’ più in possesso dei miei mezzi, cominciavo a capire dove stavo andando. Non lo sapevo ancora troppo bene, perché non lo si sa mai […] ma finalmente pensavo di avere una specie di direzione”. Così diceva Jean Renoir parlando del suo film, adattamento di una commedia in tre atti di André Mouézy-Éon e André Sylvane che a partire dal 1904 aveva riscosso un buon successo in Francia.
Tire-au-flanc si presenta come una commedia ad episodi, in stile Il Buon Soldato Svejk (1912-1923), dove protagoniste sono le strambe reclute di un reggimento non troppo caratterizzato ma in cui ne capitano di tutti i colori. Più che alle vicende del poeta Jean Dubois (Georges Pomiès), che da idiota diventa alla fine un uomo tutto d’un pezzo, si rimane affascinati dalla voglia di giocare e sperimentare da parte di Renoir che sembra libero per la prima volta di dare sfogo al suo gusto e il suo sguardo.
Lui stesso, del resto, dichiara che stava lavorando “con un gruppo di amici” tra cui spiccava il giovane produttore Pierre Braumberg che, secondo la figlia Laurence, fu colui che propose e spinse Renoir e realizzare questa storia. In Tire-au-flanc la macchina da presa è in perenne movimento e sembra mossa dalla smania di seguire più vicende possibili che accadono nello stesso momento in parti diverse dell’ambiente. Ecco quindi alternarsi baruffe, incidenti domestici e fraintendimenti tipici del comico.
Trattandosi di un film comico troviamo nel film diversi attori caratteristi degni di nota tra cui un giovane Michel Simon. L’idea era quella di creare delle maschere comiche stereotipate che potessero essere però credibili nelle varie scene. Abbiamo quindi il giovane alto ma goffo e impacciato, il traffichino, il servetto dei comandanti, l’omone rissoso ma non troppo intelligente e così via. Rispetto all’opera originaria il film ha delle aggiunte divertenti tra cui la scena forse più memorabile del film: le reclute devono esercitarsi all’utilizzo in missione della maschera antigas ma indossandola non vedono nulla e si ritrovano a ruzzolare giù da un colle finendo contro un gruppo di bambini e la loro maestra. Diventati mostri dalla maschera grottesca, i soldati iniziano improvvisamente a correre dietro agli scolaretti terrorizzati e alla loro insegnante sotto lo sguardo sbigottito dei loro superiori.
I superiori, come sempre, sono anche loro vittima di critica per la loro ipocrisia e il loro interesse più per la vita sentimentale che militare. Il colonnello Brochard (Félix Oudart) prima accusa tutti di essere dei “tire-au-flanc” (scansafatiche), poi però difficilmente lo si vede in prima linea ma si impegna più ad organizzare feste e a nascondere la sua amante. Essere guidati da comandanti del genere non è certamente l’ideale ma tutto in fondo finisce con un certo buonismo con addirittura tre matrimoni in contemporanea con tanto di recluta e militari di alto livello tutti alla stessa tavolata.
Tire-au-flanc esce nel 1928 e gli anni della Prima Guerra Mondiale appaiono forse abbastanza lontani dal permettersi di ridere nuovamente di certe cose. Farlo pochi anni prima sarebbe stato probabilmente impossibile perché ogni famiglia aveva subito perdite e i dolori erano ancora freschi. Il conflitto aveva però avuto un risvolto inevitabile: tutti, volenti o nolenti, erano entrati in contatto con la vita militare e quindi si conoscevano pregi e difetti di quel mondo.
Proprio qui si inserisce il film, che con leggerezza sembra quasi scacciare via in maniera con una risata propiziatoria il dolore del passato.