“Tutto quello che so è questo:
una volta ero cieco e ora posso vedere”.
Quello che molti sanno di questa frase è che chiude il film Toro Scatenato di Martin Scorsese, e che questa citazione biblica (Giovanni IX. 24-26) è dedicata da “Marty” al suo ex insegnante di cinema Manoogian, morto poco prima dell’uscita del film. Quello che forse molti non sanno è che nella mente del regista italoamericano si era adottata la decisione che quest’opera sarebbe stata, probabilmente, l’ultima. Oggi sappiamo che non è così.
Ci sono film che continueranno a boxare sul ring della storia del cinema per sempre. A distanza di 42 anni arriva per la prima volta in sala, in versione restaurata 4K, il biopic dedicato a Jake LaMotta. Grazie a Lucky Red riscopriamo i segreti e la grandiosità di un’opera che si è fatta leggenda. Tratto dall'omonima autobiografia di uno dei pugili più duri e meno benvoluti a cavallo degli anni ‘40/’50, il “Toro del Bronx”, così veniva soprannominato il campione mondiale dei pesi medi di origine italiane, venne interpretato dall’attore feticcio Robert De Niro.
Fu “Bob” a innamorarsi della storia del personaggio LaMotta, arrivando a diventare amico personale del boxeur e mettendo in atto un processo di identificazione dove mise in gioco tutto se stesso. Il calarsi nei panni di questo personaggio in maniera così viscerale gli valse il premio Oscar nel 1981 come attore protagonista e il New York Film Award. E fu sempre De Niro a convincere Scorsese a salire sul ring con lui per dirigerlo, tanto da rivedere nuovamente insieme la sceneggiatura del fido collaboratore Paul Schrader.
Ebbene si, perché Raging Bull rappresenta il crisalide Scorsese, rimasto involucro dall’insuccesso di New York, New York, che si fa farfalla e vola, o meglio, torna a volare dopo un periodo non favorevole della sua vita fatto anche di droga e dallo spirito autodistruttivo. Ed è proprio la tendenza autodistruttiva e la mancanza di autostima di Jake che mette a tappeto Scorsese, un tema ricorrente nella sua opera come l’incapacità dei personaggi di fidarsi e di avere relazioni sane ed equilibrate con le donne. Tocca a Vickie (Cathy Moriarty) nel film accendere la voglia di combattere di Jake. È la gelosia verso quest’ultima il motore propulsore che lo muove in un bianco e nero dinamico, che non ti dimentichi più, servito dal direttore della fotografia Michael Chapman, per le accelerazioni e decelerazioni tipiche del cinema di Scorsese.
“Datemi un'arena, Jack il Toro si scatena”. Non sempre. Non solo cazzotti, ma anche gangsterismo, religione e musica. Le note di Pietro Mascagni assolvono “Bob-Jake” dalle sue colpe mentre viene massacrato sul ring. L’arena sembra quasi trasformarsi in un confessionale dove fare i conti con paure e pulsioni e dove pentirsi: Jake Vs LaMotta. I pugni devono fare male, i duelli non debbono mostrare la tecnica. La mancanza di strategia elegge il combattimento di boxe a categoria dello spirito. LaMotta era famoso per rifiutarsi a qualunque costo di andare al tappeto, scioccò il mondo dello sport a proposito dell’influenza della malavita nella boxe, che si impossessò di lui e il fratello.
Ci sono scene che mostrano il campione mondiale dei pesi medi barcollante, in piedi, passivo, le mani lungo i fianchi, mentre si fa martellare dai colpi. E noi non capiamo perché non va giù, ma sentiamo il suo dolore e vorremmo quasi intervenire per fermare quel grondante di sangue scarlatto. Sta troppo male per riuscire a fermarsi, lo dichiara già nell’ipnotica sequenza iniziale mentre saltella sul ring combattendo contro il vuoto.
Scorsese ci fa innamorare di un perdente, ancora una volta ci frega con l’uomo comune nudo e disperato di fronte alla realizzazione di un sogno, in questo caso quello americano, che va a farsi benedire. Ma adesso Jake può vedere bene il suo dolore, di fronte ad uno specchio, mentre prova il suo monologo ormai maturo nella sequenza finale di questo capolavoro.
“Are you talking to me?”...