Dopo il dramma portuale Un homme marche dans la ville, l’incasellabile Marcello Pagliero torna al film acquatico, avventurandosi stavolta sulle chiatte che percorrono la Senna perché impiegate nell’industria del trasporto fluviale. Naturalmente appena sullo schermo si vede un’imbarcazione di quel tipo l’evocazione de L’Atalante diventa ineludibile, ma è forse più interessante confrontare Gli amanti del fiume – una delle poche opere tra quelle girate all’estero dal regista ad aver goduto di una circolazione italiana – con Un homme,  per le assonanze e le corrispondenze che invece non sussistono col film realizzato tra questi due, il mondano La Rose rouge.

Ancora una volta Pagliero – nella sua breve stagione più prolifica e fertile, prima di un declino legato a tragiche esperienze private  – adotta uno sguardo non privo di una prospettiva documentaristica sul lavoro dei protagonisti. Riesce a cogliere la fatica del vivere sulla chiatta non solo mettendo in scena le quotidiane operazioni di carico, scarico, pulizia e gli imprevisti (prevedibili o meno) di un tale mestiere, ma anche individuando nei volti e nei corpi degli equipaggi il senso di un tempo che scorre implacabile, la stanchezza inesorabile di un’esistenza mai serena, la precarietà appesa al filo di regole burocratiche e ripicche tra rivali.

Come sottolinea la giovane ragazza che ambisce ad una vita sulla terraferma, i suoi genitori hanno poco più di quarant’anni e ne dimostrano sessanta: e in effetti non si riesce a determinare con esattezza l’età dei protagonisti se non grazie a questo appunto che spiega in modo molto efficace il desiderio di emancipazione della generazione del dopoguerra, consapevole del tramonto di un mestiere così disagevole, e il destino segnato anche esteticamente di chi non ha altri orizzonti all’infuori del prossimo molo in cui scaricare e ricaricare.

Al pari di Un homme – ma con una maggiore levità malinconica forse dovuta alla minore inquietudine rispetto a quella tragedia nera postbellica e al commento musicale di Georges Auric – Gli amanti del fiume concilia questo aspetto sociale, in linea con la vocazione neorealista di un regista assai affascinato dal racconto dei “lavoratori dell’acqua”, con una dimensione sentimentale che incontra le tensioni esistenzialiste fortemente influenzate dall’amicizia di Pagliero con Jean-Paul Sartre (coronate dall’adattamento de La mondana rispettosa nel 1952).

Nelle immagini cinerine di Roger Hubert, Pagliero trova lo spazio ideale per declinare la tenerezza di una storia d’amore intimamente legata al realismo poetico. Lo snodo tra le due traiettorie del film si può rintracciare nella camminata di Monique sul bordo della chiatta, ripresa con un carrello che procede al contrario: è un momento magnifico in cui si fa evidente l’aspirazione della ragazza ad abbandonare l’imbarcazione e ciò che rappresenta e al contempo il suo legame quasi inconscio con l’acqua, la chiatta, gli uomini del fiume.