L’Arminuta secondo Giuseppe Bonito è una cascata di capelli rossi in una classe di ragazzini bruni. La sua giovane protagonista ha due mamme – una d’adozione, medio-borghese, e una di sangue, poverissima – ma vive come un’orfana: nella famiglia d’origine, a cui viene riconsegnata all’inizio del film, è l’unica a parlare un italiano corretto. Il paesino abruzzese dove si trova confinata è una bolla di solitudine all’interno della quale l’Arminuta (“Ritornata”) comincia pian piano a navigare. La storia, insomma, di una piccola ribelle che impara a vivere la propria dolorosa individualità: è rispetto a questa angolatura che il romanzo di Donatella Di Pietrantonio prende forma e voce sul grande schermo.
Si tratta, a ben vedere, di un racconto coerente con le intenzioni autoriali di Bonito, che alla questione dello scarto generazionale fra piccoli e grandi aveva già dedicato i due film precedenti (Pulce non c’è e Figli). Al suo terzo lungometraggio, il regista compie però un passo ulteriore verso il grande pubblico, con la benedizione del gran numero di ammiratori che il romanzo d’origine – premio Campiello nel 2017 – ha racimolato negli scorsi anni. La sua trasposizione costituisce, sulla scia del successo televisivo de L’amica geniale, un nuovo importante tassello nella costruzione di un odierno immaginario del melò famigliare nostrano, sempre più aperto e nazionalpopolare: che L’Arminuta sia stato proposto per rappresentare l’Italia agli Oscar è un fatto di per sé abbastanza esplicativo.
Nel tentativo di far dialogare la prosa episodica di Donatella Di Pietrantonio con il gusto del pubblico, Bonito decide sorprendentemente di procedere per sottrazione. Asciuga i dialoghi fino all’osso; lascia che Sofia Fiore, nei panni della “Ritornata”, racconti il suo personaggio con lo sguardo; stringe la drammaturgia fra le mura dell’abitazione dove l’Arminuta è imprigionata con una famiglia a cui non sente di appartenere, semplificando la dimensione socio-ambientale della storia.
Il risultato è un melodramma intenso ma misurato, diretto e insieme rarefatto, che sfiora il romanzo popolare ma che resta in disparte nel momento in cui deve dipingerne le complessità. Come e ancora di più che nel precedente Figli, il carattere sociologico del racconto resta un semplicissimo assunto di base, niente di più: così anche il ceto medio da cui l’Arminuta proviene è un orizzonte emotivo tratteggiato rapidamente nello spazio di un paio di flashback, mai veramente drammatizzato.
Nemmeno l’ambiente contadino si spinge al di là di una raffigurazione di superficie: nel film di Bonito la ruralità è un milieu romanzesco e sentimentale, più che un vero e proprio ecosistema sociale. Si tratta probabilmente di una scelta ragionata, un tentativo di astrarre la vena melò e fare del film una parabola universale, persa in un tempo indecifrabile; l’impressione, in ogni caso, è che un’ulteriore profondità di campo avrebbe donato respiro a quella che è, in fin dei conti, la storia di un’esule fra due mondi.
La politica di rarefazione impiegata da Bonito dà però i suoi frutti quando L’Arminuta focalizza lo sguardo sull’evoluzione emozionale della sua protagonista, bloccata in una dimensiona di statica incomunicabilità da cui sembra di non poter fuggire. Dando al silenzio opprimente che regna nella casa tutto il peso drammatico che merita, Bonito crea lo spazio adatto per narrare con pudore il disagio del limbo da cui l’Arminuta vuole scappare e con cui, nel tempo, impara a relazionarsi.
A trainare i momenti più intensi del film non sono le parole, ma i gesti fisici. Una carezza, un sorriso, un abbraccio: azioni semplicissime che si tramutano in atti di comunicazione emotiva e tracciano il moto dei personaggi che tentano di rompere la muraglia che li separa. Raccontando in questo modo l’evoluzione caratteriale della sua protagonista, il film trova una proprio delicata, emozionante intimità. E così, quando nel finale la sorellina Adriana si affida silenziosamente alle cure della protagonista e la segue nel mare spaventoso del futuro, L’Arminuta prende finalmente il volo.