Presentato a Venezia nel 1971, I Diavoli di Ken Russell rischiò di far saltare il cattolicissimo Gian Luigi Rondi al primo anno di Commissario della Biennale. Il film, che ricostruisce le vicende che portarono al rogo del prete cattolico Urbain Grandier e alla demolizione della città di Loudun, uno degli ultimi tolleranti bastioni di convivenza tra cattolici e protestanti nella Francia della Controriforma, venne subito accusato di blasfemia per le scene di sesso esplicito ed orgiastico. La Warner, in qualità di società produttrice e distributrice, pretese tagli significativi e questa versione rimontata rimane la sola ad oggi in circolazione. Il tema del rapporto con la censura e della rappresentazione di una sessualità repressa ha, quindi, sempre messo in ombra la vera blasfemia del film di Russell: la sua scrittura della storia non attraverso una modalità narrativa mimetica e oggettiva ma antitetica e favolosa, capace di recuperare, per citare “La storia: uno scenario rétro” di Jean Baudrillard, “l’energia mitica di un evento e di un racconto”.

Il procedere della narrazione per antitesi è chiara fin dalle scene iniziali: questa modalità narrativa dominante mette in dubbio la concatenazione oggettiva della Storia e la sua legittimazione del Potere. La prima inquadratura sottolinea la storicità del film, dicendo che i fatti sono realmente accaduti e i personaggi realmente esistiti. Tuttavia, lo stacco immediato ci porta su un luogo di finzione, un palcoscenico, per di più terribilmente farsesco, dove il re Luigi XIII mette in scena sé stesso in un’improbabile nascita di Venere.

Successivamente, dal tono farsesco passiamo all’inquadratura delle vittime delle persecuzioni religiose che costellano la strada per Loudun, quasi in una rielaborazione del finale di Spartaco, una fonte cinematografica sulla scrittura dei rapporti tra Storia e Potere. Una volta entrati in Loudon, lo straniamento e la dissoluzione della pretesa fedeltà storica sono continue grazie ai set creati dal giovane Derek Jarman. Gli edifici modernisti di Loudon, di un bianco abbacinante, e gli ambienti in cui si muovono il sensuale e seduttivo Grandier e la repressa Suor Jeanne degli Angeli, che lo accuserà di stregoneria e ne causerà la condanna, sono il contrario di quella “perfetta imitazione rétro, espurgata, impeccabile” che Baudrillard vede come il punto di arrivo e disfacimento del film storico.

Contrariamente alla definizione del critico francese dei film storici, “artifici meravigliosi, senza il minimo difetto, simulacri geniali a cui manca solo l’immaginario – allucinazione forbita che costituisce il cinema”, I Diavoli procede accostando elementi contrastanti e visionari che svelano proprio i difetti della Storia e gli artifici del Potere. Il palazzo dove si muove il Cardinale Richelieu sembra una prigione da cui la sua autorità domina il mondo grazie ad un panopticon globale. La scena in cui il re spara mentre conferisce con Richelieu sembra un’innocente gioco campestre fino a quando scopriamo che non spara a salve ma a ugonotti travestiti da uccelli. Le Chiese e i conventi di Loudun sono luoghi di orge, prima e dopo l’arrivo degli inquisitori.

Grazie anche alle interpretazioni sensuali ed eccessive di Vanessa Redgrave e Oliver Reed, I Diavoli mette in discussione l’ossessione del genere per la fedeltà storica, preferendo una visione della Storia in cui vengano messe a nudo le dinamiche del Potere alla restituzione di un simulacro assoluto del passato e alla convalida spesso acritica del Potere.