Si chiama non-fiction novel, ed è un romanzo che mette in scena avvenimenti accaduti realmente, come quello del protagonista di Doubles vies - il cui titolo inglese è, non per caso, Non Fiction -, scrittore parigino con serie difficoltà ad accorgersi della distanza tra la vita e la letteratura e che trova, dunque, nell’intreccio tra realtà e irrealtà, una matassa difficilissima, quasi impossibile da districare. In questo andirivieni, tanto lo scrittore quanto il regista giocano con dei meccanismi particolari e complessi, in cui non è detto che si riesca sempre a stabilire una netta linea di demarcazione tra il campo degli eventi e quello delle commistioni care alla fiction. Assayas e il suo scrittore sono due figure che, in questo senso, si compenetrano e confondono, tanto che la riflessione sulla crisi del mercato editoriale in seguito all’apporto del digitale sembra un pretesto per alludere ai non dissimili cambiamenti che il cinema sta attraversando in questo frangente sociale e culturale.

In maniera pungente e ironica, e attraverso le interminabili conversazioni che i suoi protagonisti “sopportano” fin dai primi momenti del film, prima di affrontare il mutamento improvviso nella percezione della letteratura (e, in fondo, anche del cinema) Assayas ci parla di qualcos’altro, del linguaggio e delle parole, preponderanti, questa volta, ma più della loro crisi nella cosiddetta epoca della post-verità, dentro il caos della cultura digitale ormai diffusasi a livello trasversale. E lo fa con la sagacità della commedia, con scambi e dialoghi serratissimi e un ritmo che si fa sempre più incalzante, coadiuvato dall’uso dei campi-controcampi, senza che la macchina da presa faccia altro se non seguire il naturale evolversi delle discussioni dei personaggi, private o lavorative che siano, lasciandole fluire, e poi delle loro vite.

Doubles vies sono le doppie, infinite e indefinibili vite dei suoi protagonisti, come una specie di matrioska che si schiude, battuta dopo battuta, fino a rivelarsi in tutte le sue componenti, una continua rifrazione di spazi, tempi e trame: un’attrice di serie tv (una sbilenca Juliette Binoche dopo aver vissuto tra le nuvole di Sils Maria) che convince il marito editore a pubblicare l’ennesimo romanzo semi-autobiografico di uno scrittore un po’ maldestro, omettendo di avere una relazione con l’uomo e ignorando che il marito ha a sua volta una relazione con l’assistente specializzata in editoria digitale o che la fidanzata del suo amante è la scaltra assistente di un uomo politico...