La sezione Venezia Classici, oltre a proporre un’ampia gamma dei più importanti restauri avvenuti nell’ultimo anno ad opera di cineteche e laboratori di tutto il mondo, dedica una parte a quei documentari che portano sotto i riflettori grandi autori e momenti cruciali del cinema del passato. Uno di questi è La lucida follia di Marco Ferreri, diretto da Anselma Dell’Olio, la quale afferma: “Nicoletta Ercole, incontrata come costumista su un set di Ferreri, mi ha chiesto nella primavera del 2016 se avessi voglia di girare un docufilm per rilanciare il cinema di Marco Ferreri, ormai caduto in un oblio che sa di rimozione, e sconosciuto alla generazione successiva alla sua scomparsa. L’occasione era il ventesimo anniversario della sua morte avvenuta a Parigi. Ho detto subito sì. Se La lucida follia di Marco Ferreri invoglia a scoprire o riscoprire il suo cinema, il nostro compito è fatto.”
Il film comincia sulle parole di Roberto Benigni che dedica a Ferreri una poesia in endecasillabi rimata secondo uno schema A-B-A, omaggiando la sua opera e il suo genio, aprendo le danze a un susseguirsi e alternarsi di interviste ad attori e collaboratori, immagini di repertorio e molteplici sequenze provenienti dai capolavori del maestro milanese. Lo abbiamo chiamato maestro, ma il film teorizza che le riserve e gli attacchi denigratori verso il cinema di Ferreri, avvenuti specialmente in Italia, provengano proprio dal fatto che il pubblico dello stivale (e non) aveva bisogno di esaltare e sostenere una figura guida assimilabile a un’idea di maestro, come ad esempio i vari Fellini, Antonioni, Rossellini. Ferreri si pose invece in antitesi con i geniali coetanei, aggiudicandosi la valevole etichetta di anti-maestro che lo relegherà in una posizione di solitudine rispetto agli autorevoli colleghi.
A questo proposito al centro del film si ricorda il gran chiasso che fece la proiezione de La Grande abbuffata durante la ventiseiesima edizione del festival di Cannes: si crearono vere e proprie fazioni di sostenitori, ma soprattutto detrattori le cui proteste resero indispensabile la scorta per Ferreri, Mastroianni e Piccoli all’uscita del Palazzo del cinema. Nello stesso momento in Italia usciva anche Amarcord e nemmeno nel bel Paese mancarono le polemiche su quale dei due film fosse migliore.
Questo documentario, molto tradizionale da un punto di vista formale, si diverte a snocciolare amorevolmente l’intera carriera di Marco Ferreri, partendo dagli esordi spagnoli e giungendo fino all’appassionato Nitrato d’argento, suo lascito cinefilo. Ovviamente al centro di tutto si trova l’uomo geniale che è stato, le passioni, pulsioni e nevrosi che gli hanno permesso di comporre quel cinema fisiologico (com’egli stesso amava definirlo) “interessato ad occuparsi dell’essere umano nella sua essenzialità corporea e comportamentale”.
Passano in rassegna un grande numero di attori, amici, persone da lui amate che aiutano lo spettatore ad avvicinarsi un po’ di più alla grandezza di un ex veterinario che, una volta divenuto regista, ha spesso e volentieri portato gli animali nei suoi film, di una persona che odiava il suo corpo a tal punto da non curarsene e mangiare ossessivamente, di un lunatico, “che oggi era misogino e domani femminista”. Infine c’e il mare, quel mare che tanto aveva amato, nel quale molti suoi film trovarono fine e sul quale si è presa la decisione di terminare l’omaggio veneziano a Ferreri, uomo che stava “almeno dieci anni avanti rispetto al tempo in cui viveva”.