I documentari della sezione Venezia Classici 2017 proseguono con un omaggio ad una delle più importanti maschere del cinema e della letteratura italiana novecentesca da poco scomparso: Paolo Villaggio. O meglio il documentario parla di Villaggio attraverso il suo più famoso e caro personaggio, ovvero il Rag. Ugo Fantozzi. Il film, diretto dal critico Mario Sesti, arriva in laguna “completo al 95-98%”, mancante di alcuni contributi, tra cui quelli di Diego Abatantuono e Nino Frassica. Nonostante non sia privo di sbavature, il lavoro di Sesti riesce ad emozionare, aiutato dalla carica emotiva che la recente morte del comico genovese ha provocato nei cinefili e dalla presenza di una delegazione composta da regista e produzione a cui si sono aggiunti i figli Piero ed Elisabetta, Milena Vukotic aka Pina Fantozzi e Paolo Paoloni, il mega-direttore galattico.

Il film è stato girato di pari passo alla recente registrazione degli audio-libri e comprende al suo interno svariate letture di alcune tra le più conosciute gag dello sventurato ragioniere, accompagnate da grafiche che intendono evitare la riproposizione di sequenze cinematografiche ben note a tutti. A contornare tutto questo, interviste e testimonianze di alcuni tra i suoi più cari amici e collaboratori, ma anche a personalità del mondo dello spettacolo e della comunicazione che difficilmente avremmo accostato al compianto Villaggio.

La voce di Fantozzi ha la precisa intenzione di non far perdere la memoria di un personaggio che ha avuto un impatto incredibile e a volte sottovalutato nella letteratura, nella televisione e nel cinema italiano. Ma anche nell’immaginario culturale e sociale del nostro Paese, cercando di farsi riflesso di quello che l’uomo medio italiano è stato, ma che tale non si sentiva, non identificandosi mai direttamente in Fantozzi, bensì riconoscendolo spesso in individui vicini. Non per niente, parafrasando l’intervento di Roberto Benigni, il termine ‘fantozziano’ è entrato a tutti gli effetti a far parte del vocabolario italiano, affiancandosi al più illustre ‘felliniano’. Questo perché Paolo Villaggio ha lasciato un segno più profondo di altri, facendosi simbolo di una generazione durante uno dei più importanti momenti di svolta culturale italiana, e questo simbolo lo ha portato avanti nel tempo (anche se non sempre in maniera totalmente riuscita) parlando la stessa lingua delle generazioni più giovani.

Peculiarità del film sono le curiose testimonianze, in stile mockumentary, della signora Pina Fantozzi, la quale ribadisce ancora una volta la stima provata nei confronti del marito, dell’hooligan che lo avrebbe dovuto aiutare a prendere il diploma di pezzo di merda e del mega direttore galattico Duca Conte Giovanni Maria Balabam che lo ricorda come un pessimo dipendente.

Sesti decide di chiudere il suo omaggio a Villaggio con una testimonianza della moglie, Maura Albites, solitamente restia alle interviste, non grande amante di Fantozzi e polemica almeno quanto lo era il marito. Chi conosce le belle parole ripetute e ripetute da Villaggio nei confronti di questa donna che lo ha affiancato per la vita, non potrà esimersi dal sorridere ascoltando il tono con cui Maura parla di Paolo. Lo stesso tono che era solito usare lui nelle interviste degli ultimi dieci anni (almeno).

L’ultima inquadratura ritrae un Paolo Villaggio invecchiato e stanco, truccato da Pierrot, che fissa impassibile l’obiettivo, fino a che una lenta dissolvenza in nero spegne quella che rimarrà l’ultimo frame cinematografico di Villaggio.