Restauro curato da Mosfilm, che nella scorsa edizione della Mostra presentò Va’ e vedi, L’ascesa è uno dei quattro film di Larisa Shepitko, regista sovietica prematuramente scomparsa nel 1979, due anni dopo aver vinto l’Orso d’Oro a Berlino con questo dramma antimilitarista, a cui proprio Va’ e vedi deve più di qualcosa. Tratto dal racconto Sotnikov di Vasilij Bikov, è la storia, in forma di odissea, di due partigiani con i nazisti alle calcagna, prima rifugiati presso un capovillaggio collaborazionista e poi nella casa di una povera madre di tre figli, dove vengono catturati dal nemico e condotti nel quartier generale tedesco.

Ciò che ad una prima lettura sembra avere a che fare solo con il nazismo riguarda in realtà tutti i totalitarismi, come si evince dall’avversione di uno dei protagonisti verso il capovillaggio con la Bibbia in mano. Pur sulla lunghezza dello sguardo dei partigiani, vittime designate della guerra, la regista non rinuncia a sottolinearne aspetti anche controversi, tracciando così un dramma tanto calato nel contesto storico e spaziale quanto parabola universale nel rivolgersi ad una dimensione meno limitata.

Certo lo spazio del racconto è decisivo, e difficilmente si è vista una neve così bianca e paurosa, in un accecante bianco e nero che esalta la scelta di girare in luoghi reali, acuendo la tensione dialettica data tra uomo e natura (l’acqua ghiacciata sotto il manto, i rami che si impigliano nei vestiti, i proiettili che squarciano la coltre). Ed è decisivo anche il formato in 4:3, nei cui limiti i volti non trovano via di fuga, arrivando infine a guardare in macchina come ad interrogare il pubblico, lo stesso chiamato ad assistere all’esecuzione sperando nella complice connivenza e trovando invece sdegnoso rifiuto. Se ne accorge uno dei partigiani che sceglie la via meno eroica, colto dalla paura ma intrappolato nello strazio.

In questo senso è un film popolare, non solo per come mette in scena gli errori e il coraggio della povera gente ma anche per il ricorso ad immagini che evocano simbologie riconoscibili (religiose: la Pietà, la via crucis, il calvario, la crocifissione, l’iconografia del partigiano “buono”). Raffinato senza essere formalista, mistico ed immersivo, un commovente ed implacabile capolavoro ossessionato dalla morte.