La potenza visiva e il valore seminale di Vestito per uccidere, opus numero tredici di Brian De Palma e suo primo successo commerciale, non sono misurabili solamente in quanto pellicola spartiacque nella filmografia del regista italoamericano ma anche per la sua  lungimiranza nell'anticipare temi, immagini e ossessioni di tutto il cinema americano degli anni Ottanta e oltre.

Dopo aver dato corpo sullo schermo negli anni Settanta a una forma di orrore oscura e soprannaturale, De Palma inaugura gli Eighties con un thriller erotico che rimanda inevitabilmente a Hitchcock ma che, nel momento stesso in cui terrorizza il pubblico, riesce anche a provocarlo ed eccitarlo dando forma a pulsioni e schizofrenie sessuali che di lì a poco l'America perbenista non sarebbe più stata in grado di trattenere. Il sesso come motore del nostro inconscio a cui non possiamo opporre resistenza ma che si rivela una condanna nel momento in cui se ne trae piacere, come verrà esplicitato per tutto il decennio con la fobia dell'AIDS e il furente igienismo della presidenza Reagan all'interno della società e del cinema americano.

A differenza del Maestro del brivido, De Palma mostra in questo film di rinunciare sfacciatamente alla logica narrativa nella costruzione della tensione, ma la sua profonda conoscenza del linguaggio del cinema e la sua capacità di giocare con i nervi dello spettatore mettono questa mancanza in secondo piano e ci regalano alcune delle sequenze più memorabili della sua carriera. Il pedinamento serrato nel museo, con una continua inversione dei ruoli tra inseguitore e inseguito, e la sequenza dell'omicidio nell'ascensore non sono solo raffinati esempi di manipolazione della tensione e dell'attesa, ma scene che creano un vero e proprio piacere visivo, un'immersione totale nel racconto capace di generare una vertigine senza eguali negli occhi di chi osserva.

I paragoni con Hitchcock già si sono detti e riguardano nello specifico La donna che visse due volte e Psycho – Angie Dickinson, come Janet Leigh, entra in scena da protagonista e viene liquidata nel giro di venti minuti – ma è necessario citare anche Dario Argento tra le fonti d'ispirazione del film. Il regista italiano, come De Palma, deve la sua genesi artistica all'autore inglese e in questi film si avvertono numerosi echi di Profondo rosso, nella manipolazione delle immagini come nella costruzione della tensione e nelle dinamiche di coppia tra Nancy Allen e Keith Gordon, similari a quelle tra Daria Nicolodi e David Hemmings.

Lo psichiatra schizofrenico Robert Elliott, interpretato dal sofisticatissimo Michael Caine, rappresenta infine la matrice originaria dei futuri serial killer cinematografici: in lui vi sono Hannibal Lecter e Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti, il fascino pericoloso di coloro che sanno manipolare l'inconscio e la crisi d'identità sessuale come minaccia alla società e al comune senso del pudore. Per il suo valore profetico e il suo citazionismo consapevole ma mai fine a sé stesso, Vestito per uccidere rimane ancora oggi un'opera di importanza cruciale, un trattato sulla paura e sulle ossessioni contemporanee che offre agli spettatori i suoi desideri più nascosti per poi farli a pezzi con un colpo di rasoio.