Julie Andrews è un’icona del cinema, una star indiscussa che è riuscita a non restare imprigionata da personaggi come Mary Poppins e Maria di Tutti insieme appassionatamente. Ha infatti interpretato alcuni personaggi drammatici indimenticabili come quello di Judith Farrow in Il seme del tamarindo e Stephanie Anderson in Duet for One. In questa edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia le è stato attribuito il Leone d’oro alla carriera. La cerimonia è stata introdotta del Direttore del festival Alberto Barbera che, tra le continue esplosioni degli applausi da parte del pubblico in sala, ha dato il via alla proiezione del video tributo, a cui è seguita la presentazione emozionata del regista Luca Guadagnino. Infine è stato proiettato, per la gioia del pubblico adorante, Victor Victoria capolavoro indiscusso di Blake Edwards in cui il ruolo della Andrews si sdoppia in due personaggi: da un lato quello della povera squattrinata soprano Victoria Grant e dall’altro quello del conte polacco Victor Grazinski cantante en travesti di immediato successo.

Blake Edwards decide di affidare questo ruolo complesso, drammatico e graffiante alla moglie Julie Andrews che lo trasforma in un’opera attoriale di inimitabile eccellenza. Affiancata dal bravissimo Robert Preston questa coppia di attori riesce a tenere vivi i tempi e le continue battute della sceneggiatura di Blake Edwards che intesse, attraverso la sua regia, un film profondamente tragico mascherato dalla comicità delle innumerevoli gag slapstick. Victor Victoria ha il pregio fondere come scrisse Franco La Polla: “il divertimento alla logica, o se preferite, trae dalla logica materiale il divertimento. Ed è questa la ragione della sottile quasi impercettibile insoddisfazione che coglie lo spettatore minimamente attento alla fine del film: la logica è logica e non c’è niente da ridere, i guai, i pregiudizi, le miserie delle regole sociali non hanno niente di comico, eppure noi abbiamo riso.”.

E ancora oggi vedendo questo film ridiamo, nonostante la nostra cultura sia bombardata da contenuti al cui centro si trova il tema della libertà sessuale e il travesti non sia più una novità: è interessante notare quanto la libertà d’espressione del proprio corpo e il mutamento dei costumi dal 1982 siano ancora così statici. Così ora abbiamo bei film come The Danish Girl e serie televisive di successo sulla sessualità, ma a tutti gli esempi possibili il film di Edwards è sovrano poiché riesce ad avere tuttora una potenza intrinseca al tessuto filmico unica, creando quindi un capolavoro d’immagini di apparenze perfette che però illudono il suo spettatore capovolgendone le sue usuali prospettive. Ogni esibizione di Victor/Victoria è anti-realista così come lo sono le situazioni e le azioni di tutti i personaggi e questo è probabilmente il modo giusto per arrivare ad una verità su cui si fonda tutta una corrente dell’inganno: di cui fanno parte A qualcuno piace caldo, Tootsie, Il vizietto, Mrs. Doubtfire e così via. Ecco quindi che il film di Edwards nel finale non può non raggiunge l’apoteosi del falso. Decidendo infine di smascherarsi sia agli occhi degli spettatori di Victor Victoria, sia a quelli diegetici degli spettacoli mostrandosi per quello che è: un'immensa illusione cinematografica che trova, ad ogni visione, il modo di far cadere nel suo tranello chi la guarda.