Indipendentemente dal numero di visioni pregresse, rapportarsi a Videodrome, opera tra le più emblematiche e criptiche di David Cronenberg, rimane una sfida. Tanto è stato scritto su questo film, scomposto e analizzato fin nelle sue componenti minime. Eppure, ad ogni nuova visione colpisce sempre un dettaglio, un’intenzione autoriale, una direzione interpretativa nuova. Per questo Videodrome è un film inesauribile, in continua reincarnazione, che si adatta al contesto ricettivo di qualunque contemporaneità. È la rappresentazione di un disagio trasnumano, di una tensione esistenziale/tecnologico non ancora dispiegata.

Il viaggio di Max Renn, direttore di una modesta emittente televisiva magistralmente interpretato da James Woods, alla scoperta dei limiti dell’intrattenimento audiovisivo si tramuta ben presto in qualcos’altro: qualcosa di criptico e oscuro, forse la consapevole inadeguatezza della biologia umana dinnanzi alle sue stesse creazioni.

Il dottor Frankenstein si fonde col suo mostro fino a renderli indistinguibili, entrambi proiettati verso una nuova forma sintetica estranea ad entrambi: la nuova carne. L’ambiguità della formulazione di Cronenberg, efficace nella misura in cui suggerisce più di quanto espliciti, ne ha determinato il successo presso qualunque trattazione del rapporto fra umano e macchina.

La sceneggiatura dell’opera ricalca un’argomentazione saggistica, dapprima discutendo di modalità comunicative asimmetriche, del loro funzionamento e delle conseguenti implicazioni etiche. Da qui si passa a osservare il contenuto della rappresentazione, le condizioni della sua pervasività e la sua capacità di plasmare la realtà circostante. È a questo punto che vengono a mancare ulteriori possibilità d’indagine e rimane aperta la questione sulle conseguenze della tecnocrazia. Cronenberg rimane ambiguo – dopotutto nemmeno lui ha tutte le risposte – e reinnesta il dibattito alla sua radice viscerale, la sessualizza.

A conti fatti, Videodrome racconta di un’amore erotico impossibile fra organismo biologico e apparato tecnico, una pulsione pervasa di sadismo e abnegazione di cui la morte è l’unica conclusione orgasmatica possibile. In questa accezione, Videodrome rimane la trattazione più completa dell’estetica di Cronenberg; nemmeno i successivi Crash e Existenz hanno avuto l’impatto immaginifico di quest’opera intrisa di muscoli e cavi, carne lacerata e metallo ansimante, di cui forse solo Akira e Tetsuo possono considerarsi degni eredi.