Approfittiamo di Blade Runner 2049 per recuperare parte della filmografia di Denis Villeneuve, e in particolare il suo rapporto con la fantascienza. The Arrival è solo di un anno fa ma ha fatto molto parlare di sé e si incastona in una tradizione fantastica che tiene ovviamente conto anche di Spielberg e dei suoi Incontri ravvicinati del terzo tipo.
Essere temporale, l’uomo è al mondo come in un eterno amarcord. Non c’è anima né individuo senza memoria, sosteneva Umberto Eco, ed è soltanto pervenendo ad una lenta ma effettiva corrispondenza tra i due elementi che la protagonista di Arrival creerà una comunicazione di partenza irrealizzabile. Presentandoci un caso limite, quello di un primo contatto terrestre tra l’umano e il non umano, Denise Villeneuve realizza un’opera cosmica, una riflessione filosofica sul linguaggio e il rapporto Io-Altro che ha il pregio di insinuarsi oltre il solito manicheismo rappresentativo.
Senza un’apparente logica o connessione dodici astronavi extraterrestri atterrano in diverse parti del mondo e i governi mobilitano ogni branca della scienza e linguistica per interpretarne la venuta. La linguista Louise Banks\Amy Adams, durante le sue dilatatissime sessioni di presentazioni, strette di mano e “scambi culturali” mostrerà alla frenesia governativa quanto sia vitale il bisogno di divincolarsi da certe antinomie e polarizzazioni: siamo sicuri di conoscere le sfumature della nostra lingua o, ad esempio, la differenza tra capire e comprendere?
La stessa problematica è stata posta da Spielberg in Incontri ravvicinati del terzo tipo: se la prima è un’attitudine che rinvia al carpire istantaneamente la contraddizione, attraverso un unico colpo d’occhio, comprendendo, d’altra parte, ci s’inoltra nella contraddizione simultaneamente, cogliendone in itinere ogni meccanismo intellettuale. Mantenendosi su una tensione narrativa incalzante, con un procedimento a incastro spaziotemporale reso ancora più efficace dal montaggio, Villeneuve si rifà al codice fantascientifico dei più grandi – non è un caso che anche in 2001 ci sia una presenza monolitica allusiva di una possibilità salvifica, in quel caso una specie di primo atto di difesa, per l’uomo – e lo reinventa. Con reviviscenze di questo tipo e citando da un punto di vista formale e concettuale l’incontro ravvicinato del 1978, Villeneuve crea un parallelismo tra due vicende, quella più intima ed esistenziale della Banks rispetto all’esperienza corale e più unanime del dottor. Lacombe\François Truffaut e dei suoi collaboratori.
Con la prassi del linguaggio ostensivo da un lato, approcciandosi all’altro in maniera estremamente rigorosa ed equilibrata e del linguaggio ostensivo-musicale dall’altro, la Banks e il dottor. Lacombe aprono un varco al di là del tempo e della comunicabilità come intesi dalle nostre categorie. D’altro canto, visivamente beatifica, l’ascesa della dottoressa Banks ha in sé qualcosa di paradisiaco e la fotografia rende tutto il lirismo del suo progressivo innalzarsi ad un livello di conoscenza superiore. In tale specie di “assunzione” extraterrestre lei stessa diviene parte di quella forma circolare apparsa al suo sguardo al momento del primo contatto interlinguistico: come gli eptapodi, l’umano è adesso eternità, senza principio e fine.