Se n'è andata il 23 marzo scorso come tanti suoi coetanei, in seguito alle complicazioni da Covid per una polmonite, Lucia Bosè, all'età di 89 anni. Eppure, per diverse generazioni di spettatori, Lucia Borloni (questo il vero patronimico) non fu una comune mortale, ma fu tra le prime "maggiorate" del cinema italiano ad assurgere nell'Olimpo delle divinità nostrane, tra le dive più amate di tutti i tempi.

Lucia Bosè, milanese, era di famiglia operaia comunista e faceva la commessa in un negozio di cioccolatini: la Pasticceria Galli. Lì fu vista dal fratello di Luchino Visconti, Guido Visconti Modrone, proprietario della GVM, una ditta di prodotti di bellezza, che si innamorò pazzamente di lei. Le propose di fare del cinema, ma la ragazza rispose malamente a tali proposte, per l’epoca addirittura sconvenienti. Finì poi per partecipare, grazie alla sua segnalazione e con il permesso della madre, al concorso di Miss Italia nel 1947: e fu eletta Miss ancora diciassettenne. Ribattezzata Miss Anomala per il suo aspetto quasi tenebroso, per le sue espressioni indecifrabili e per il fascino che emanava dal suo sguardo obliquo, lei che era ancora una ragazzina, ma sapeva già di donna, innamorò non solo Guido Visconti, ma pure Francesco Maselli che nel 1955 le fece una corte sfacciata sul set del film Gli sbandati e che la ricordava così: Questa ragazza così strana ombrosa bellissima fiera, questo profilo curioso, questo nasino piccolo bizantino, straordinario. Lei c’aveva proprio un piglio travolgente…e aveva una grande intelligenza della propria collocazione in una serata, in un luogo, in un tavolo. E a un certo punto cedette all’innamoramento forsennato di questo stupendo pazzo che era Walter Chiari".

Il volto della Bosè, per un decennio almeno, dal 1950 al 1960, occupò non solo il primo posto sui cartelloni cinematografici dei film dei più grandi registi (De Santis, Antonioni, Soldati, Fabrizi, Emmer, Buñuel, Cocteau, e nel decennio successivo Taviani, Fellini, Bolognini, Cavani), ma anche le prime pagine di tutti i rotocalchi, con le turbolente vicende private che la videro protagonista di uno dei primi "triangoli" della storia del cinema.

Riportiamo di seguito alcuni stralci di una intervista inedita all'attrice, raccolta da chi scrive, nel settembre 2002 (presso la Cineteca di Bologna dove era ospite per la presentazione del restauro di La signora senza camelie) in occasione della stesura della tesi di laurea in Storia del cinema italiano, Walter Chiari e il cinema.

Correva l'anno 1951 e dopo essersi fatta le ossa con Non c'è pace tra gli ulivi e Cronaca di un amore (accolti con discreta freddezza dal pubblico e con incassi non proprio memorabili), Lucia fu chiamata da Mario Soldati sul set di una commedia leggera, È l’amor che mi rovina, che la vedeva recitare al fianco del divo più acclamato dell'epoca, Walter Chiari. La Bosè ricordava così Soldati e Walter:  “Di Soldati mi ricordo benissimo, era divertentissimo, un pazzo era! Mi ricordo una mattina che arrivò sul set ed esclamò: 'Ah sono felice!'. 'Ma, che ti è successo'? Gli chiedevo io. 'Mia moglie mi ha sparato', disse. Ed era vero, la moglie gli aveva sparato, e lui era offeso, perché non aveva beccato lui, ma lo sparo era andato sulla biblioteca e gli aveva distrutto tre o quattro libri. Walter sul set non lo controllava nessuno, Walter faceva quello che voleva, sempre. I copioni c’erano, ma lui inventava tutto di sana pianta, faceva quello che gli veniva in mente ogni volta. Non mi piacevano tanto questi film, però erano divertenti, e Walter era bravissimo a fare quelle cose”.

Dal 1951 al 1955 divampò la storia d’amore fra Walter Lucia, con sei film di mezzo (1951 È l’amor che mi rovina, 1952 Oggi sposi, 1953 Era lei che lo voleva, 1954 Accadde al commissariato, 1954 Marsina stretta, 1955 Vacanze d’amore) cinque matrimoni celebrati nella finzione, uno solo (il loro) organizzato e poi sfumato nella rottura della love story tra le più seguite nella storia dei media.

E tanto s’accresceva la fama di Walter come latin lover, tanto più si moltiplicavano le occasioni in cui veniva pubblicamente ribadita, così nonostante lui si definisse un timido, passava per un vero mangia-donne, il pericolo numero uno per tutte le coppie. Persino Raymond Peynet, il celebre illustratore francese, aveva dedicato una sua vignetta a questa diceria e aveva disegnato il celebre fidanzatino con in mano una fidanzatina liofilizzata, ridotta a misura di gabbietta, portata in mano dall’amato con una didascalia che recitava più o meno così “Non ti farò uscire dalla gabbia finché Walter Chiari non se ne sarà andato da questa città”.

Walter e Lucia erano visti da tutto il mondo di allora proprio come due innamorati alla Peynet, “carini, da tenere in casa”, si erano trovati forse anche per le comuni radici milanesi, nati in due mondi vicini, Walter in una casa a Milano in riva al Naviglio in mezzo ai rifiuti, e lei nata in via Ampola, una traversa di via Ripamonti. Due famiglie molto simili, di quattro figli insieme. Si trovarono (come piaceva ricordare a Walter) “come due esseri che potevano finalmente parlare senza imbarazzo del loro passato e lasciarsi andare al milanesismo. Perché Lucia era già fagocitata dai grandi registi e aveva degli amici altolocati pittori, scrittori, grossi giornalisti, diversi critici di festival, ma era una giovane donna che portava a spasso il corpo di una donna bellissima, con intelligenza, e sensibilità”. I due si innamorarono quasi immediatamente. “Lei per me è stata forse la donna che ha mosso tutto il miliardo di cellule che abbiamo, che mi ha scavato più profondamente in quel terreno dell’emotività, che mi ha preso credo non il tempo migliore, ma nei momenti migliori del tempo, cioè ha reso migliori tutti quelli dedicati a lei, quando ero con lei, quando pensavo a lei, quando andavo verso di lei, quando mi allontanavo da lei.

Li avevano ribattezzati La tosa e il bravo fioeu e l’epiteto più usato dalla stampa dell’epoca per definirli era che ognuno si meritava l’altro, che ripensandoci poteva anche essere una frase dal sapore vagamente acidulo, come a Walter stesso piaceva osservare ironicamente. Lucia era descritta da Walter come una sfinge, e non perché fosse di pietra o disumana, ma perché era impenetrabile: “Lucia al momento che decideva di non esserci, spariva. Sembrava che il sangue le girasse nelle vene nascosto: non le saliva mai alla testa, non ha mai sbattuto una porta, non ha mai rotto un piatto, non è mai uscita in un epiteto”. Eppure Walter confessò, in più di un’occasione, che se avesse mai deciso di fare il grande passo lo avrebbe fatto con la Bosè, e tanto serio fu il suo innamoramento, da fargli comprare persino una casa a Roma, in via Igea, per la sua fidanzata. Casa che avrebbe dovuto essere il loro nido d’amore, anche se poi le cose andarono diversamente.

Italo Terzoli (la controfigura storica di Walter Chiari), raccontava di esser capitato insieme a Walter e Lucia, che a quel tempo già stava con Dominguin, in questa casa di via Igea, una volta e che il torero li invitò a prendere un caffè su in casa, e di come tra i due fosse Walter quello che aveva più dimestichezza con l’appartamento, che apriva gli sportelli, prendeva il caffè, sembrava insomma più a suo agio in quella casa di quanto non lo fosse il futuro marito di Lucia.

I due si conobbero nel 1955 sul set del film Gli egoisti dello spagnolo (franchista) Juan Antonio Bardèm, e all’epoca, il “mitico” torero Luis Miguel Dominguìn era ancora legato sentimentalmente ad Ava Gardner, ma si invaghì istantaneamente di Lucia. Dominguin nel suo paese era una specie di istituzione, il migliore dei matador, detentore del primato di tori uccisi e ultimo discendente di una dinastia di toreri. Era anche un conteso e brillante play-boy, tra i membri più in vista della vita mondana madrilena. Il suo amico Ernest Hemingway diceva di lui, Quando è al meglio della condizione, riunisce in sé un po’ del Dongiovanni e un po’ dell’Amleto”.

A proposito della nascita del loro amore, così ci raccontò la Bosè: “Io arrivavo in Spagna girando questo film Muerte de un ciclista [il titolo italiano del film è Gli egoisti, 1955] di Bardèm e il produttore, che era amico mio, disse a Dominguin ‘non ti presenterò mai a Lucia Bosè perché sono sicuro che ti piacerà molto’ e lui, ‘Ma perché? Me la puoi presentare!’. E quello ‘No non te la presento, perché tu sei un pazzo e rischi di rovinarmi il film’, e pare che anche Ava gli avesse detto la stessa cosa: ‘Se c’è una donna che non ti presenterò mai è Lucia Bosè’. Ava stava già a Roma e aveva conosciuto Walter Chiari, ma lei non mi conosceva ancora. Così il torero, che avrebbe dovuto tornare a Roma per vedere Ava, quella sera stessa disse: ‘No, io rimango qui non vado a Roma’. E quella fu la sera in cui me lo presentarono.”

Così la scintilla del nuovo amore scoccò, per Lucia, quando già la relazione con Walter Chiari era stata troncata. L’attrice mantenne sempre un ostinato riserbo sulle ragioni di tale rottura. Finalmente, nell’intervista citata, tale silenzio fu spezzato, e il segreto della conclusione di un grande amore fu definitivamente svelato: “Walter era una persona molto generosa, però alla fine ci ha ingannati tutti. Ah, io mi sentii ingannata, tradita, per la storia della droga, siamo sinceri, lì ha ingannato un po’ tutti. Perché a noi diceva ‘Non fumate! Io bevo solo latte, faccio tanto sport’. Si andava a ballare, si faceva tardi e lui la mattina era in piscina alle sette, beveva un bicchiere di latte, neanche il caffè si prendeva. E poi alla fine scoprii che dietro c’era qualcos’altro. La droga è una cosa che io non ho mai capito, e lì mi son sentita ferita, ecco".