Qual è la guerra di Maria? Maria è una donna, del sud, è una lavoratrice precaria, è madre di tre figli e moglie di un uomo ammalato di cancro. La sua guerra è con la vita. Qual è la scelta inusuale di Maria? Maria sceglie di non essere vittima di una condizione sociale che la pone, spalle al muro, di fronte alla sua povertà di mezzi, sceglie di essere una donna fuori dal comune e di prendersi, con forza prepotenza e spregiudicatezza, ciò che, di norma, non è concesso così facilmente a molti né, tanto più, a troppe donne: Maria si prende tutti insieme in una volta sola soldi, sesso, libertà, successo e vita sicura. Certo dovrà per questo rinunciare a qualcosa, forse proprio a quell’amore da lei stessa declamato nella didascalia iniziale del film “Mi chiamo Maria Capasso, ve lo dico papale papale, non me ne frega un cazzo di quello che la gente potrebbe pensare di me: ho agito per amore e tanto basta”, ma la verità è che Maria è un personaggio vincente, anche se la sua storia è un percorso ad ostacoli tra l’impossibilità di conservare un’ etica da donna perbene e la volontà di riscuotere dalla vita il giusto premio dei propri sacrifici.

Abbiamo ormai imparato a conoscere e ad amare le inusuali donne di Salvatore Piscicelli: come già Immacolata (Ida Di Benedetto) e Concetta (Marcella Michelangeli) 40 anni fa (1979) sfidavano una precostituita ostilità maschile, le inossidabili convenienze familiari e i secolari tabù sociali, come già Rosa (una Marina Suma esordiente premiata col David di Donatello per questa sua prima interpretazione nel 1981) accettava di prostituirsi come alternativa estrema all’impossibilità di migliorare le sue chance, ora anche Maria (una perfetta Luisa Ranieri), sola contro tutti, sale sul ring della vita decisa a fare a botte con chiunque provi a frapporsi come ostacolo tra lei e ciò che vuole. Donne che da strumenti passivi nelle mani degli uomini (amanti, mariti o padri) si fanno capaci di reinterpretare soggettivamente la loro esistenza, affermando la propria vera identità, ancorché sgradevole o negativa.

La cosa più avvincente di La vita segreta di Maria Capasso è infatti l’evoluzione drammatica e narrativa della sua protagonista. Presentataci dapprima nei panni innocui di una qualunque (una tra tante) mamma di casa, moglie devota ed affettuosa (pensa al pigiama nuovo da comprare per il ricovero del marito, si occupa dei figli), lavoratrice indefessa e anche un po’ sfruttata di un centro estetico della periferia napoletana, poco alla volta si accende di una luce del tutto nuova. Maria dà luogo ad una radicale trasformazione, sottolineata, inoltre, dal suo trasferimento topografico dalla periferia di Napoli al Vomero, simbolo per eccellenza dell’exploit sociale ed economico della donna.

Questa metamorfosi è perfettamente espressa dal linguaggio cinematografico, a partire dal ritmo del racconto che da tenue si fa via via più aggressivo, dai colori di scenografie e costumi che cambiano (si passa dalle tinte chiare e luminose, nei vestiti fiorati, negli arredi, in esterni, a colori sempre più cupi e vicini al nero), da uno stile per così dire chiassoso, partenopeo, dell’immagine nel suo complesso, ad uno più moderno e lineare, sobrio. Il miracolo della trasformazione è senz’altro merito di una fortissima sceneggiatura, accompagnata dal talento innegabile di Luisa Ranieri. A inizio e fine film, pare di aver conosciuto due diverse protagoniste, appunto quella consueta, civile, accettabile, lodevole, in panne... e poi il suo doppio segreto, nascosto, la parte più cupa di ognuno di noi, la Maria volitiva, decisionista, risolutiva.

Maria agisce per salvarsi, per migliorare la sua posizione. Lo fa per sé e per i suoi familiari, ma considerando il modo in cui si comporta con “l’innamorato” della figlia maggiore, non vediamo l’amore per il prossimo come movente principale della sua azione, piuttosto quello per sé stessa. Quello di Maria è un amore spropositato per sé stessa, un desiderio forte di auto-rivendicarsi, di riconoscersi, affermarsi, in questo sì, molto vicina all’essenza di Filumena Marturano. Siamo naturalmente portati ad apprezzare parecchio questo tipo di egoismo femminile, di autostima esasperata, in un contesto che dimostra quotidianamente quanto ancora ci sia da fare per liberare le donne dall’egemonia maschile, dallo schiacciamento della loro emancipazione tra cura e lavoro subìto, più che agito. Siamo convinti che il messaggio del film, se ha ancora un senso parlare di message, ancorché travestito da una patina di maledettismo noir, sia molto forte e positivo. Proprio perché, una volta tanto, è una donna a prendere in mano la sua vita e a rifiutare ciò che altri, o un destino infame e sfortunato, hanno previsto per lei. La vita segreta di Maria, insomma, non ci indigna e ci piace assai.