When you wish upon a star

Si apre con queste parole una delle più celebri e amate canzoni della sterminata carriera Disney. Appartenente a Pinocchio (1940), il brano sembra condensare alla perfezione lo spirito dello studio tanto che è stato successivamente adottato come colonna sonora di accompagnamento al logo animato che introduce ogni pellicola.

Così, il sessantaduesimo classico di animazione partorito da Topolino & co., uscito nell’anno del centesimo anniversario dei Walt Disney Animation Studios, non poteva che basarsi completamente su questo verso. Wish è il titolo del film, ma Star è uno dei personaggi principali del racconto. Wish e Star, l’alfa e l’omega della quintessenza Disney, racchiudono quindi, dalla a alla z, uno dei lungometraggi più attesi (e per questo motivo travagliati) da molti anni a questa parte.

L’idea è quella di dare vita a una grande carrellata malinconica, in grado di perpetuare la visione narrativa più contemporanea tanto cara alla responsabile di dipartimento Jennifer Lee (qui presente anche in veste di co-sceneggiatrice), ibridandola però a un omaggio senza fine capace di racchiudere cento anni di produzioni senza soluzioni di continuità.

Così, da una parte Wish è il nuovo segmento di un percorso ben attento a non pestare i piedi a nessuno, che dà vita a narrazioni costantemente equilibrate, giustificando ogni singola azione, scelta o pensiero dei suoi personaggi per cercare di non creare malumori, disuguaglianze o discriminazioni (ci mancano i villain, caspita se ci mancano!).

Dall’altra, il film coglie pigramente l’occasione di omaggiare (tramite una serie infinita di easter egg più o meno espliciti) tutti i classici che l’hanno preceduto, fornendo un’occasione giocosa ma fine a se stessa per divertire il pubblico in una sorta di caccia al tesoro. Il problema è che questo secondo aspetto si dimostra ben presto più stimolante e appassionante del film in sé.

Se infatti presente e passato si fondono grazie a un dialogo costante, supportato da una tecnica animata che vuole furbamente restituire le due anime (alfa e omega, ricordate?) e creare un ponte tra la tradizionale tecnica animata 2d e il digitale contemporaneo, resta da constatare che con Wish l’occasione di creare qualcosa di unico sotto questo punto di vista sia abbondantemente sprecata.

Le carte in regola per celebrare un anniversario coi fiocchi c’erano tutte: un film della e sulla Disney, ambientato unicamente in un castello collocato in un simpatico e solare villaggio (un parco a tema, insomma), che racconta le disavventure di animali parlanti, principesse intraprendenti e personaggi costantemente mossi dall’idea di poter accarezzare il loro sogno avendo una stella come bussola.

100 anni di animazione, 100 anni di cinema riassunti in un bigino canterino che potrebbe, anzi dovrebbe, scaldare i cuori, ma che invece si incarta dall’inizio alla fine, risultando pedante e lasciando trasparire più la sua anima catechizzante che immaginifica.

Le stelle sono tante, milioni di milioni, ma quella del centenario brilla decisamente meno che altre. Peccato.