“Elementare, Watson!”. Pare che sia stato Clive Brooke il primo attore a declamare sul grande schermo, in The Return of Sherlock Holmes (1929), la celebre esclamazione, apocrifo holmesiano mai pronunciato dal detective nei cinquantanove racconti e quattro romanzi che compongono il “canone” delle avventure del celebre “consulente investigativo”.

Una frase che delinea già il tono dell’Holmes di Brooke: saccente e sicuro di sé, elegante, ironico al limite della strafottenza. La battuta fu pronunciata probabilmente per la prima volta sulle tavole del palcoscenico da quel William Gillette che aveva fatto la fortuna teatrale del personaggio, e sulla cui pièce è basato molto liberamente anche il film Sherlock Holmes di William K. Howard presentato in versione restaurata al Cinema Ritrovato, sempre con Clive Brooke nel ruolo principale. Un Holmes stranissimo, fidanzato e in procinto di sposarsi, che vive e si muove in una Londra anni Trenta che sembra uscita da un gangster movie. Il personaggio, alle prese con scariche di mitra e malviventi americani, dovrà scontrarsi però con l’arcinemico di sempre, il professor Moriarty.  

La tendenza a trasportare il personaggio ai giorni nostri ha caratterizzato l’esperienza cinematografica di Sherlock Holmes, dal muto fino a oggi (basti pensare alla serie BBC Sherlock, che ha trasformato in un divo l’attore Benedict Cumberbatch). Fu lo stesso Conan Doyle, che pur amava l’attore e la sua interpretazione, a lamentarsi dell’ambientazione troppo contemporanea, con automobili e telefoni, di Il cane di Baskerville (1921) con Eille Norwood, primo attore “seriale” a interpretare il detective in quarantasette film muti prodotti dalla Stoll. Non aveva fatto eccezione neanche lo Sherlock Holmes con John Barrymore del 1922, né i primi film sonori interpretati in quegli anni dall’attore Arthur Wontner. Tentativi non sempre riusciti, visto che gli sceneggiatori, preoccupati di modernizzare l’ambiente, si dimenticano di fare lo stesso con il personaggio, che risulta così spaesato e fuori posto, figura d’altri tempi con giacca da camera, colletto rigido e orologio da taschino catapultata nella modernità probabilmente dalla macchina del tempo di H.G. Wells. Il film di Howard, proprio per la sua libertà nel rapportarsi al personaggio, riesce a superare questo nonsense temporale, grazie anche a una generosa dose di ironia che non risparmia neanche il saccente Holmes di Brooke, per l’ultima volta (la terza) nel ruolo del detective.

A spazzare via e a gettare nel dimenticatoio tutti i predecessori sarebbe arrivato nel 1939 Basil Rathbone, l'Holmes cinematografico più famoso e amato, che a partire da Il mastino dei Baskerville di Sidney Lanfield prestò il suo naso aquilino al detective di Baker Street per quattordici film girati fino al 1946, con Nigel Bruce nel ruolo del dottor Watson. La coppia diede ai personaggi la loro fisionomia definitiva, profondamente radicata nell'immaginario. Solo i primi due film della saga, prodotti dalla 20th Century Fox, sono in costume. Passato in mano alla Universal, l’Holmes di Rathbone si sposta negli ann’40, andando spesso in aiuto della causa bellica.

Per veder tornare il detective nell’Inghilterra vittoriana bisognerà aspettare il 1959 con il primo Sherlock Holmes a colori. La casa cinematografica inglese Hammer realizza La furia dei Baskerville per la regia di Terence Fisher. A ricoprire il ruolo del detective viene chiamato Peter Cushing (uno dei divi della casa, per cui era stato Van Helsing e Victor Frankenstein).

Più interessanti invece i tentativi di modernizzare il personaggio dall’interno, lasciandolo libero di muoversi nel suo habitat naturale ma mettendolo, letteralmente, sul lettino dello psicanalista. Saranno gli anni '70 a decostruire e destabilizzare il mito holmesiano, presentandocelo cocainomane in cura da Sigmund Freud in Sherlock Holmes: Soluzione settepercento (1976) di Herbert Ross con l’attore shakespeariano Nicol Williamson, o depresso, dandy, forse omosessuale, interpretato da Robert Stephens in La vita privata di Sherlock Holmes (1970). Il film di Billy Wilder, originariamente molto lungo, venne pesantemente ridotto dai produttori. Chissà che prima o poi la copia integra di questo gioiello, per ora irrimediabilmente perduta, non compaia sugli schermi del Cinema Ritrovato, regalandoci un altro incontro inaspettato con uno dei tanti, affascinati, Holmes cinematografici.