A qualcuno piace caldo, capolavoro del 1959 targato Billy Wilder, è da più parti considerato la commedia per eccellenza, la migliore mai realizzata nella storia della settima arte, su tutti la classifica dell’American Film Institute che la elegge capofila delle commedie cinematografiche d’ogni tempo.

La macchina filmica si innesca ispirandosi a un fatto di cronaca, la strage di San Valentino, il massacro compiuto a Chicago il 14 febbraio 1929 con il quale gli uomini di Al Capone sterminarono la banda di Bugs Moran. Le informazioni spazio-temporali coincidono: Chicago, 1929, piena epoca del proibizionismo, i due musicisti interpretati dalla coppia Lemmon/Curtis si trovano ad assistere e a scampare miracolosamente al massacro compiuto dagli uomini del gangster Ghette Colombo. Questa curiosa rappresentazione di un boss della mala è interpretata da George Raft, attore newyorkese spesso accusato di frequentare personalità legate al mondo del crimine organizzato. Certamente il ruolo di Ghette si pone come parodia dei molteplici gangster interpretati nel suo passato sul grande schermo. Dunque Wilder si diverte a giocare non solo con i generi sessuali, ma anche con quelli cinematografici, in quanto il gangster movie è evocato in maniera giocosa e dissacrante in più momenti.  

Le storie, gli aneddoti e i rumors che hanno gravitato attorno a questa opera sono molteplici, dal presunto amore/odio tra Marilyn e Curtis, all’ammirazione della diva verso Jack Lemmon con la dichiarazione “Isn't Jack Lemmon the funniest man in the world?alle difficoltà recitative della stessa Monroe, ma ovviamente sono la vitalità e la sottile intelligenza a rendere A qualcuno piace caldo i giusti riconoscimenti. E gli ingredienti sono, come sempre quando si parla di capolavori, la combinazione straordinaria di personalità geniali. Scrittura, regia e recitazione rasentano la perfezione, il grandissimo estro degli interpreti maschili conferisce un ritmo quasi unico alla narrazione, ma la presenza di Marilyn sembra essere il reale valore aggiunto. Nonostante le difficoltà a ricordare le battute e l’esasperazione durante le riprese, Wilder stesso affermò che superata la difficoltà la resa sullo schermo era straordinaria, e lo è ancor’ oggi.

Non a caso questo è uno dei film che ha contribuito a fissare indelebilmente nell’immaginario comune l’icona Marilyn Monroe per come la conosciamo. Oggi, a 56 anni dalla sua prematura scomparsa e a 59 anni dall’interpretazione di Sugar Kane non si può fare a meno di notare la perfezione con la quale Marilyn sapeva riempire lo schermo, come si ci fosse entrata dentro una volta venuta al mondo. Allo stesso tempo, dietro al sex symbol si scorge con tenerezza quella fragilità e insicurezza che si portava dietro, soprattutto nei personaggi che interpretava. Come ben sappiamo l’essere considerata solamente per la sensualità la faceva soffrire molto e la portò a voler cambiare rotta, trovando il coraggio di percorrere strade nuove, ma rendiamo grazie anche a Sugar Kane Kowalczyk perché ci ha mostrato la grandezza della diva Marilyn, ma anche la fragilità di Norma Jean, “una bellissima bambina”.