Jacques Becker, prima assistente alla regia di un gigante del cinema francese come Jean Renoir, divenne a sua volta uno dei più importanti e influenti registi d’Oltralpe. Casco d’oro (Casque d’or, 1952) è uno dei film cardine nella cinematografia del Nostro, nonché uno dei suoi più celebri, nonostante all’epoca non avesse riscosso un grandissimo successo, per poi essere rivalutato in seguito diventando un vero e proprio classico. Scritto dallo stesso Becker insieme a Jacques Companeez, è ispirato a una figura realmente esistita, Amélie Hélie, una prostituta parigina di fine Ottocento, sulla quale il regista crea e dirige una storia d’amore e malavita.
Ci troviamo nella Parigi ottocentesca, e Marie (Simone Signoret) – detta Casco d’oro per la sua splendida chioma bionda – è una prostituta di proprietà del suo protettore Roland: il quale a sua volta fa parte di una banda criminale dedita alle rapine e comandata dal boss Felix Leca (Claude Dauphin), ammanigliato con un ispettore di polizia. La donna frequenta perciò l’ambiente della malavita, e tramite il bandito Raymond conosce il falegname Georges Manda (Serge Reggiani), un ex galeotto. Marie e Manda si innamorano, scatenando la gelosia del protettore, che viene ucciso dal rivale in un duello all’arma bianca. Georges, senza volerlo, è perciò di nuovo braccato dalla legge, e dopo aver rifiutato l’offerta di Leca per entrare nella banda, si dà alla macchia insieme a Marie. Il boss è però a sua volta innamorato della prostituta, e così ordisce un diabolico piano per far condannare il suo nuovo uomo.
Becker – in mezzo a vari generi – ha diretto tre noir seminali, cioè il nostro Casco d’oro, poi Grisbì (1953) e Il buco (1960), il suo ultimo film. Tutti e tre sono squisitamente personali, tanto differenti fra loro quanto accomunati da uno stile toccante e da uno sguardo umano; e il Nostro si differenzia dalla poetica di altri futuri maestri del noir come Jean-Pierre Melville e José Giovanni, poiché a Becker non interessa tanto dissezionare la logica dei vari milieu della malavita, quanto piuttosto mettere in scena i rapporti umani e le psicologie dei personaggi, in relazione all’epoca in cui agiscono, fra amore, amicizia, rivalità e odio.
Casco d’oro è al contempo un noir e un melodramma, un film sull’amore e sul crimine, ma è anche un film in costume, ambientato nei bassifondi della Parigi ottocentesca (la Belle Époque), e proprio in questo trova uno dei suoi caratteri peculiari. Come spiega Goffredo Fofi, Casque d’or è uno splendido affresco dell’Ottocento, in cui si respira un’atmosfera simile a quella della coeva letteratura francese di autori come Hugo, Balzac e Stendhal. La storia narrata non sarebbe più la stessa se fosse trasposta ai nostri giorni, poiché il quid del film è proprio il fatto di mettere in scena un certo secolo, una certa ambientazione, determinati ceti sociali – il proletario Manda, i borghesi che amano visitare anche i luoghi malfamati, gli eleganti criminali guidati da Leca. Complice una scenografia che va a scovare i luoghi più adatti all’epoca e ricostruisce con cura certosina gli interni, insieme alla meravigliosa fotografia in bianco e nero di Robert Le Febvre (su cui bisognerà tornare), il capolavoro di Becker trasporta gli spettatori proprio in quei posti e in quel secolo. Fra stradine pittoresche di periferia, locali malfamati che odorano di assenzio, costumi d’epoca, balli, carrozze a cavallo e ritrovi amorosi in riva al fiume, si svolgono le vicende di questi protagonisti borderline, tutti destinati inevitabilmente alla tragedia.
Casco d’oro è sia un film che è affresco di un’epoca, sia un film dove ci sono i personaggi basilari del noir francese (e non solo): la prostituta, a cui dà vita una bellissima e intensa Simone Signoret in uno dei più grandi ruoli della sua carriera (prima ancora de I diabolici di Clouzot), l’ex galeotto che vuole ricominciare una vita onesta ma è travolto dagli eventi (col volto inconfondibile dell’italo-francese Reggiani), il boss (un grande Dauphin), il protettore, il poliziotto corrotto e tutta una parata di sgherri coi volti giusti. Come accadrà in Grisbì (e parzialmente anche ne Il buco), il cinema noir di Becker è improntato al cherchez la femme, poiché è sempre l’amore per una donna a muovere i personaggi e a guidarli nel drammatico destino, mentre la colonna sonora di Georges Van Parys suona e palpita insieme a loro.
I baci appassionati fra la Signoret e Reggiani si alternano a dialoghi pregnanti e a scene abbastanza crude per l’epoca: il duello col pugnale fra Manda e Roland, l’esecuzione a colpi di pistola del crudele boss per mano di Georges, tutto il drammatico e commovente finale col protagonista condotto alla ghigliottina, mentre Marie osserva la scena da un palazzo adiacente. Va poi fatta una menzione particolare alla fotografia di Le Febvre, un prezioso bianco e nero che tratteggia luci e ombre, e valorizza i primi piani della Signoret con un’aura di luce regale.