Angelo Novi nasce nel 1930 a Lanzo d’Intelvi in provincia di Como, trasferitosi a Milano frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera; nel 1952, abbandonati gli studi di architettura, inizia la sua collaborazione come fotoreporter con l’agenzia Publifoto di Milano. Novi non si occupa solo di cronaca e realizza per il quotidiano “Il Giorno” reportage in Turchia, Libano, Iran e India. Nel 1956 è a Budapest durante i giorni della resistenza alle armate sovietiche: “Robert Capa e Cartier Bresson mi sembravano i modelli da seguire. (…) Era un bel colpo, per noi giovani fotografi che la sera c’incontravamo al bar Jamaica, poter dire di aver piazzato una foto al “Mondo”, una specie di laurea”. (Angelo Novi in Fotografi di scena del cinema italiano, a cura di Antonio Maraldi e Raffaela Cossarini, Cesena 2003)
Trasferitosi a Roma lavora per l’agenzia fotografica Dufoto per la quale svolge anche l’attività di fotografo di scena in teatro. Successivamente la collaborazione con Studium lo porta ad effettuare importanti reportage come quello in Vietnam nel 1965. Sono questi gli anni in cui comincia a documentare diversi set cinematografici, realizzando uno special su Era notte a Roma di Roberto Rossellini (1960), e come fotografo di scena, per conto di Divo Cavicchioli, in Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini (1962). Dopo questa esperienza, escludendo il breve periodo che lo vede aprire l’ufficio romano di “Vogue”, Novi si dedicherà totalmente al cinema lavorando come fotografo di scena per numerosi registi italiani, tra i quali ricordiamo Luigi Comencini, Valerio Zurlini, Mauro Bolognini, Alberto Lattuada, Sergio Leone, Sergio Corbucci, Bernardo Bertolucci, ci fermiamo qua ma l’elenco è ancora lungo…
Nel Fondo Angelo Novi, conservato nella Cineteca di Bologna, troviamo un’ampia sezione dedicata alla fotografia di scena, scatti che documentano il suo lavoro a partire dagli anni '60 fino alla fine degli anni '90. Tra le collaborazioni più lunghe e proficue quella con Pasolini durante le riprese de La ricotta, Comizi d’amore, Il Vangelo secondo Matteo, Uccellacci e uccellini e Teorema, con Bernardo Bertolucci sul set de La commare secca (per uno special), Il conformista, Ultimo tango a Parigi, Novecento, La tragedia di un uomo ridicolo, L’ultimo imperatore, Il tè nel deserto, Il piccolo Buddha, Io ballo da sola, e infine per Sergio Leone nei film Il buono, il brutto, il cattivo, dove compare nella parte di un monaco, C’era una volta il West, Giù la testa e C’era una volta in America.
Tornare sulle fotografie scattate durante le riprese di Novecento serve a rendersi veramente conto di cosa significhi seguire la genesi di un film e realizzarne uno proprio, perché quello di Novi è un film parallelo e complementare girato dentro e fuori dal set in cui si trova, le sue immagini ci mostrano i retroscena che altrimenti andrebbero perduti, porzioni di memoria cinematografica attraverso le quali uno spettatore attento cerca di ricostruire il fotogramma speculare visto sul grande schermo.
Oltre a suggerire lo scorrere del tempo scandito dalle riprese e dalle pause, “la fotografia scattata su un set è la prova, il documento che testimonia che il film è una storia irreale, ma che per farla si è dovuto trasformarla in realtà”. (Annamaria Materazzini, Angelo Novi, fotografo in Un altro west. Le foto di Angelo Novi sui set del western all’italiana, a cura di Franco La Polla, Bologna 2007)
E con la dura realtà ha dovuto fare i conti anche Bernardo Bertolucci ritratto da Novi con una benda sull’occhio a fianco del padre Attilio, colpa di una momentanea paresi a un nervo dell’occhio destro. “L’inconscio è spietato perché quando vuole ribellarsi o vendicarsi di qualcosa sceglie sempre il punto più adatto da danneggiare, in questo caso l’occhio che guarda la macchina da presa”, il regista giustifica così l’insolita presenza della benda nello special di Gianni Amelio Bertolucci secondo il cinema (1976), e scherzando cita alcuni celebri registi la cui fisionomia è stata caratterizzata da questo dettaglio, come Raoul Walsh, John Ford e Fritz Lang, e per completare la lista potremmo aggiungere Nicholas Ray. Grazie al backstage di Amelio finalmente intravediamo Novi al lavoro mentre segue la troupe, la sua presenza discreta la incontriamo anche in ABCinema (1975) una sorta di making of di Novecento girato da Giovanni Bertolucci.
“Quante volte, avvicinandomi di nascosto al grande, caro, barbuto Angelo Novi, gli ho mormorato con minacciosa dolcezza: ‘Devi smetterla di fare delle foto che mi rendono invidioso. Ogni giorno mi rubi gli attori che ho scelto e dirigo, mi rubi le scenografie, le luci, i costumi, mi rubi anche la mia messa in scena. Trovi tutto fatto e ne ricavi delle foto straordinarie, con angolazioni, sfumature, improvvisi trasalimenti, sguardi clandestini che io, ancorato al film, non sarò mai in grado di cogliere’. Angelo rideva felice e gratificato. (…) Queste foto non rappresentano i miei film, ma l’inconscio dei miei film. Che è lo specchio del mio” (Bertolucci: images, a cura di Marcello Garofalo, Lucca 2000).
Il ritratto che traspare dalle parole di Bernardo Bertolucci è quello di un fotografo capace di cogliere l’inconscio del regista che lentamente affiora sul set. Novi è l’unico a mantenere la giusta distanza dagli avvenimenti, l’aver esordito come fotoreporter gli permette di cogliere istintivamente le peculiarità e l’unicità degli eventi, suggerendo a sua volta spunti e originali alternative: “Una volta Bernardo, bontà sua, ha dichiarato in un’intervista che quasi invidiava certe mie inquadrature. Durante le riprese de L’ultimo Imperatore, per esempio, fotografai John Lone in un particolare gioco d’ombra e lui volle ripetere la stessa inquadratura nel film” (Fotografi di scena del cinema italiano. Angelo Novi, a cura di A. Maraldi e R. Cossarini, Cesena 2003).
Con Novi la valenza puramente promozionale attribuita agli scatti di un fotografo di scena risulta secondaria, le sue immagini, prese singolarmente, acquistano valori estetici autonomi pur restando intrinsecamente legate al film d’origine, come ad esempio accade con una serie di scatti realizzati sul set di Ultimo tango a Parigi oggi esposti al MoMA. La magnifica foto con la silhouette un po’ sfuocata di Maria Schneider che incornicia il volto di Marlon Brando rende bene l’idea.
Novi dimentica tutte le convenzioni imposte dai direttori di produzione, a cui il fotografo di scena deve sottostare, come dimostra il primissimo piano di Maria Schneider, sfocata pur essendo il soggetto principale. Una scelta ben ponderata che trova nella non canonicità del soggetto il suo punto di forza, le gerarchie della composizione sono stravolte in queste fotografie in cui le comparse hanno lo stesso rilievo degli attori principali, molto spesso inquadrati di spalle. Novi, raccontandosi nel videoritratto Angelo Novi fotografo di scena di Antonietta De Lillo e Giorgio Magliulo (1992), riflette sul percorso visivo di fronte al quale noi stessi siamo chiamati a creare il movimento del cambio di scena.
Il fotografo fissa i gesti e gli sguardi “un po’ prima che succeda veramente l’azione”: “Ossia, se uno dà una bastonata in testa (…) quando lo colpisce in testa col bastone non è divertente, è bello veder l’azione, proprio lui che sta per bastonarlo, allora quello è un attimo prima dell’azione ed è l’attimo più bello. La fotografia è anche un po’ immaginarsi cosa succederà poi. (…) Ci sono delle fotografie di De Niro o di Claudia Cardinale davanti a una porta, che escono fuori da una porta, “non c’entra niente col film, però è una bella fotografia, perché non la devo fare, sono lì! Come vedo una cosa che mi piace la fotografo”.
Anche il ricordo di Attilio Bertolucci serve ad arricchire di significato l’opera di Angelo Novi, il quale si definisce un artigiano del cinema, e lavorando all’interno della troupe, come uno dei tanti scalpellini della bottega di Benedetto Antelami, realizza un nuovo Ciclo dei mesi, fissando l’alternanza delle stagioni che scandiscono le lunghe riprese di Novecento, in cui ritroviamo gli strumenti del lavoro dei campi, così simili a quelli di Antelami: “Ogni volta che penso a una troupe cinematografica, dal regista al più umile e pur sempre necessario cartellista, e al fatto che il film, suo risultato finale, è opera del lavoro collettivo, mobile e variegatissimo di detta troupe, mi viene di sognare al gruppo di lavoro che edificò e decorò il mirabile Battistero della mia città, Parma. Ed ecco che dalla viva voce di Angelo Novi apprendo il fatto, per me pieno di arcano significato, che lui viene dalla Val d’Intelvi, l’alta valle comasca da cui scese, alla fine del dodicesimo secolo, con la sua troupe, per innalzare nella piana di Parma il capolavoro in marmo rosa fiorito di figure che della città è vanto, Benedetto Antelami” (Attilio Bertolucci in L’immagine cinema, A. Novi e M. Garofalo, Roma 1992).
Novi è uno dei tanti protagonisti che ha reso possibile, immortalandolo nel suo originalissimo fotoromanzo, “l’edificazione del Grande Sogno Collettivo” del Cinema, svelandone la realtà fatta di “tecnici, macchinisti, elettricisti, sarte e carpentieri”, e ovviamente attori, tutti sotto la direzione del regista; professioni differenti che trovano nella comune artigianalità del mestiere affinità con “i muratori, i marmisti e i manovali, che nel Medioevo costruivano le Cattedrali”. Lui che “è l’unico altro ‘autore’ presente sul set, oltre al regista, nel senso che è l’unica altra figura della troupe a godere di una autonomia e di una sovranità creativa illimitate”. (Giuseppe Bertolucci in Il Novecento di Bernardo Bertolucci nelle immagini di Angelo Novi, catalogo della mostra tenutasi a Guastalla nel 2005).