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“L’Impero” di Dumont, poema eroicomico per immagini
Più che meritato Orso d’argento alla Berlinale, L’Impero è un oggetto filmico non identificabile. Come in anni recenti hanno fatto The Grandmaster di Wong Kar-wai per le arti marziali o La ballata di Buster Scruggs dei Coen col western, si tratta di un film che, sfondando allegramente le distinzioni tra i generi e le regole dell’industria, insieme alle aspettative della critica e le abitudini del pubblico, scombina tanto l’esperienza cinematografica contemporanea quanto ogni legittimità della sua interpretazione.
“A Traveler’s Needs” indifferente alle convenzioni cinematografiche
Attraverso un digitale lo-fi che predilige la luce naturale e l’improvvisazione tra gli attori Hong fa vivere palpabilmente gli stati d’animo che accompagnano il riconoscimento o il rifiuto (è il caso della madre del ragazzo) dell’alterità, e ancor più la tenerezza imprevista che una mano sulla spalla o la lettura condivisa di una poesia possono ispirare. La ripetizione, con minime ma significative variazioni, di battute e atteggiamenti fa parte di quella maieutica dell’emotività illustrata anche dalle lezioni di francese.