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Collage di metafore. Anderson, Greenwood e altri vizi di forma.

Il cinema di Paul Thomas Anderson è come un collage infinito di metafore e richiami interni a significanti che, non necessariamente, hanno un significato; una di queste suggestioni è presente anche nella colonna sonora de Il filo nascosto, in cui una delle tracce di Jonny Greenwood porta il nome di un dettaglio presente in Vizio di forma: Puck’s Beaverton Tattoo. Un particolare, quello del “tatuaggio di Puck Beaverton che pulsava”, che sembra suggerire ancora una volta quella tendenza tipicamente postmoderna che Paul Thomas Anderson, tra l’altro ex studente di David Foster Wallace, ha fatto propria mettendo a punto uno stile narrativo che punta al disorientamento.

L’allucinato peregrinare di “Vizio di forma”

È in sala in questi giorni al Cinema Lumière una retrospettiva su Paul Thomas Anderson. Due collaboratori di Cinefilia Ritrovata sono andati a vedere Vizio di forma. Quando quattro anni fa Paul T. Anderson adattò per il grande schermo l’omonimo romanzo di Thomas Pynchon, rese evidente come nel 2002 Ubriaco d’amore avesse segnato uno spartiacque all’interno della sua filmografia. Dalle solide e compatte sceneggiature altmaniane di Boogie Nights – L’altra Hollywood e Magnolia alla concentrazione talvolta prolissa sull’individuo, seminale ne Il petroliere ed esasperata in The Master. Vizio di forma non è da meno. Con l’allucinato peregrinare di un Joaquin Phoenix conciato come fosse il fratello hippie di Wolverine, Paul T. Anderson dilata i tempi fino a raggiungere una non-trama, di fatto il caso investigativo da risolvere è una matassa talmente ingarbugliata che né il protagonista né il pubblico ci capiranno mai nulla.