Tutta la potenza metaforica del lavoro di Yuri Ancarani, affermato artista e videomaker che si misura per la seconda volta con il lungometraggio, si condensa già nel titolo: Atlantide, terra leggendaria, isola maestosa e perduta, destinata a scomparire inghiottita dalle acque del mare.

La realizzazione del film risale al 2019, quando hanno avuto inizio le riprese tra i canali della laguna veneta, ma il progetto ha incontrato, nel tempo, ostacoli non di poco conto (l'acqua alta con il record di 187 cm prima e la pandemia di coronavirus dopo) prima di approdare alla 78esima Mostra del cinema di Venezia, dove è stato presentato nella sezione Orizzonti. Il regista ha osservato da vicino la laguna per quasi quattro anni vivendo a stretto contatto con i giovani che la abitano, finché non è giunto il momento di dare forma alla sua personale versione cinematografica di Venezia.

È la Venezia degli adolescenti e dei ventenni, che vivono ai margini dalla città-cartolina ipernarrata nel suo brulicare di turisti internazionali che ne invadono le calli e fotografano il paesaggio acquatico forse più famoso del mondo. Quella di Atlantide è una Venezia insolita e defilata, misteriosa e nascosta – e proprio per questo più autentica – su cui il nostro sguardo, di turisti e di spettatori, non ha mai occasione di posarsi. Proprio lì si immerge l'occhio della cinepresa per catturare la vita di Daniele, ventiquattrenne di Sant'Erasmo che trascorre le giornate contemplando da lontano i coetanei che sfrecciano sui barchini, bolidi acquatici dai motori truccati con cui si sfidano in gare pericolose. Daniele è disposto a tutto pur di riuscire a battere il record di velocità e imporsi in cima alla classifica.

Ancarani sceglie il romanzo di formazione, il racconto delle difficoltà legate al passaggio all'età adulta. A governare questo mondo terracqueo è un rito di iniziazione (maschile) che decreta chi è degno di rispetto e chi no. I membri di questa comunità non hanno sogni e vanno alla deriva senza alcun senso di futuro. L'unica casa che si possa definire tale è il barchino, l'unica ragione di vita è la corsa. Non importa se tutto attorno il mondo sprofonda. Non è un caso che ad accompagnare le immagini, già dal trailer, sia la canzone Non mi interessa della Dark Polo Gang. L'ossessione per la corsa e la brama di pericolo spingono verso una bulimica ricerca di piaceri intensi, ma destinati ad esaurirsi. Così sfidare la morte diventa un hobby qualsiasi, come ingozzarsi di merendine  ascoltando trap.

La narrazione è affidata quasi esclusivamente a musica e immagine, a un caleidoscopio di suoni e colori che vira verso il trip psichedelico, in cui le musiche techno ed elettroniche (firmate da Sick Luke e Lorenzo Senni) si impongono sulla solennità dei palazzi antichi. I dialoghi (in dialetto) sono pochissimi e prosciugati al minimo, “rubati dalla vita reale”, per usare le parole dello stesso regista quando spiega il metodo di realizzazione del film: sottraendosi alla consueta regola della sceneggiatura solida che precede le riprese, Atlantide prende forma da solo con una scrittura realizzata in itinere mentre segue le vite dei giovani della comunità del barchino.

Man mano che la corsa del film procede, il livello dell'acqua si alza lentamente, preludio dell'inabissamento finale. Così assistiamo alla parabola discendente di un'esistenza (e di una generazione intera) senza poterci sottrarre allo stordimento procurato dalla potenza “fuori misura” delle immagini di quello che a tratti sembra un videoclip dilatato.

Con una cinepresa che oscilla insieme ai barchini e inquadra i palazzi dipinti dalle luci al led, Ancarani coniuga l'interesse antropologico con l'esercizio di stile e la ricerca visionaria. Un'accuratissima fotografia intrisa di rosso o di verde potrebbe ricordare fotogrammi di Gaspar Noé, nonostante ci sia un'evidente distanza dall'intento provocatorio del regista argentino.

Siamo di fronte a un videoartista che spegne i riflettori sempre accesi su un mondo che abbiamo l'illusione di conoscere e ce lo restituisce capovolto, ribaltando i nostri riferimenti, spingendoci a cambiare punto di vista, ad andare oltre con lo sguardo, a invertire la prospettiva. Più che un film, Atlantide è un'esperienza sensoriale, un'opera strabordante che esige la visione in sala.