Vincitore del Pardo d’Oro per il concorso Cineasti del Presente al Festival di Locarno 2021, Brotherhood di Francesco Montagner segue le vite di tre fratelli pastori bosniaci: Jabir, Usama e Useir. Il periodo è quello che va dalla prima adolescenza e alla maturità: la macchina da presa segue in modo silenzioso e non invadente il consolidamento delle identità dei tre ragazzi, in bilico tra il mondo dell’Islam radicale verso cui li instrada il padre Imam e le tentazioni della secolarizzazione o, comunque, di un modo di vivere la religione meno radicale.

Quando il padre Ibrahim viene arrestato per terrorismo per essere andato in Siria come jihadista e viene condannato a due anni di carcere, i tre fratelli si ritrovano improvvisamente senza la guida autoritaria del loro unico genitore sopravvissuto. Montagner ne coglie il senso di spaesamento e, allo stesso tempo, l’aspirazione alla libertà con uno stile che coniuga il realismo delle immagini alla loro trasposizione in un registro quasi fiabesco. La forte istanza documentarista è tradotta in una rappresentazione in cui le immagini rimandano a metafore ed archetipi, analizzabili secondo le categorie dei formalisti russi.

La stessa natura nel film acquista progressivamente un carattere meno idilliaco rispetto alla sequenza iniziale che vede Jabir e Useir attorno al fuoco del pascolo con l’irruzione della realtà attraverso la telefonata del padre sul cellulare di Jabir che intima ai due ragazzi di fare ritorno a casa. All’idillio del pascolo fanno da contraltare paesaggi naturali via via meno rassicuranti caratterizzati da presenze minacciose o rovine di un conflitto passato, evocato anche nei discorsi tra Useir e il suo compagno di scuola o attraverso i giochi dei tre fratelli.

Inoltre, alla natura del pascolo si contrappone il paesaggio urbano che significa prigione per il padre ma anche la promessa di evasione per Jabir verso la trasgressione della discoteca o verso una famiglia sua. Per Usama il paesaggio urbano significa l’attrazione/repulsione verso comportamenti che la sua stretta osservanza religiosa non dovrebbe tollerare. E, tuttavia, paradossalmente sarà proprio Usama, che si sforza di recitare una parte più simile a quella del padre, definendosi “terrorista” e arrivando ad identificandosi con Bin Laden in un videogioco, ad essere la delusione più grande per il genitore.

Girato su un arco di tempo di più di quattro anni per cogliere lo sviluppo e la crescita dei tre protagonisti dal momento di abbandono del padre fino al suo ritorno dal carcere, Brotherhood documenta il progressivo divenire delle identità dei tre fratelli e la sfida che questo divenire porta al concetto di “fratellanza” e di “legame” (non necessariamente di sangue) espresso dal titolo. La crescita e lo sviluppo di identità più definite rischia di rompere progressivamente quel senso di comunità e di legame che aveva contraddistinto l’inizio del film.

La libertà dal padre padrone è dunque possibile solo a scapito del sentimento di fratellanza e presuppone il progressivo scivolamento nell’individualismo? E quale sarà l’impatto del ritorno del padre sulle diverse aspirazioni dei tre fratelli? Opera aperta, Brotherhood lascia queste domande senza risposta: questa parte del film e delle vite dei protagonisti è ancora da scrivere e sfugge alla prigione del linguaggio. Particolarmente il destino del più giovane Useir rimane avvolto nell’incertezza, tra una vita nel nome del padre e la spinta verso una maggiore autodeterminazione.