Non è che tu dici al mondo "preparati, adesso ti fotografo". Devi avere la pazienza di pedinarlo.

Cecilia Mangini

 

Nel 1952 Cecilia Mangini, ha appena comprato una Zeiss Super Ikonta, macchina fotografica tedesca semi-professionale. Avrebbe voluto una Leica, come quella dello zio; troppo cara per le sue tasche. Si è trasferita da poco a Roma, chiamata dal critico Callisto Cosulich che, in quel delicato momento storico-politico causato dalla guerra fredda, si trova a gestire, in veste di segretario generale, la F.I.C.C. (Federazione Italiana dei Circoli del Cinema), rimasta fedele al partito comunista.

Grazie a questo lavoro, Cecilia entra in contatto con il mondo del cinema italiano e internazionale. E quello che il Centro Sperimentale di Cinematografia le aveva precluso – una donna non aveva accesso al corso di regia – se lo prende, per altre vie, la sua caparbietà e intelligenza. Ha appena conosciuto Lino Del Fra (futuro marito e compagno di lavoro) che collabora con i Circoli del Cinema e scrive per "Cinema Nuovo" e altre riviste specializzate.

Nell'estate del 1952, parte sola per Lipari (Lino la raggiungerà più tardi), anzi, parte con la sua Zeiss e nel biancore abbacinante delle cave di pietra pomice, si scopre fotoreporter. "Come insegna Ladri di biciclette, l'immagine o la trovi subito o non la trovi più", dichiara Cecilia Mangini nel documentario Il mondo a scatti (2021), co-diretto con il fotografo e filmaker Paolo Pisanelli.

Cecilia accetta di raccontarsi davanti all'obbiettivo, a patto di continuare a vivere il presente. La si vede manifestare per strada con gli operai dell'ILVA a Taranto (In viaggio con Cecilia, co-regia Mangini-Barbanente, 2013), conversare con Agnès Varda durante la Festa di Cinema del Reale, passeggiare a Parigi, davanti al Centre Pompidou che le ha dedicato una retrospettiva e ancora eccola a Montreal, alla Cinémathèque québécoise e a Teheran, al Fajr International Film Festival.

Il film mostra gli esordi di Cecilia Mangini fotografa e documentarista, ma lo fa connettendo saldamente il suo passato alla Cecilia dell'oggi che dichiara il suo amore per le immagini che catturano la verità racchiusa nella così detta realtà e che ancora si interroga sui significati che questa parola, 'realtà', può assumere, nel momento in cui si accetta la sfida di rappresentarla. La sua passione per la fotografia la porta all'altro suo grande amore, il cinema, quello documentario; gli scatti della sua Zeiss si mettono in movimento e il bianco e nero diventa colore in 16 mm.

Il mistero di uno sguardo, di un'espressione, di una folla che guarda in macchina non si svela, anzi, si complica, acquistando la voce umana. La presa diretta del suono è ancora lontana per chi indaga la società filmando per strada, mentre vicini sono ancora gli echi dell'impostazione fascista dei commenti ai cinegiornali. Per annullare ogni ricordo di quei discorsi propagandistici Mangini, per il suo primo documentario, Ignoti alla città (1958), sceglie Pasolini, vuole le sue parole:

"Essere caduti dal seno della madre sul fango e sulla polvere di un deserto che li vuole liberi e soli, essere cresciuti in una foresta, dove i figli lottano con i figli per educarsi alla vita dei grandi: essere ragazzi in una città, fatta per la pietà e la ricchezza, senza sapere altro che la propria fame...".

I ragazzi di vita del romanzo pasoliniano acquistano i volti e le fattezze di quelli che Cecilia filma e il testo del poeta, ispirato dalle immagini che ha visto in moviola, suggellano una collaborazione che li vedrà ancora insieme per altri due documentari. Per Stendalì (1960), unica testimonianza visiva dell'antico pianto funebre in griko e La canta delle marane (1962), felice proseguimento di Ignoti alla città, con cui Mangini entra in profondità nel giovane tessuto umano delle periferie. E ottiene un altro memorabile commento da Pasolini:

"Facevamo tutto quello che nun dovevamo fà. Ciavevamo proprio la passione da fà disperà er mondo. Ah, che soddisfazione sentisse dì: 'Lì er bagno nun lo dovete fà', e invece noi no, invece de uno se ne facevamo cento. Alla faccia de tutti! Nun ciarreggeva nemmeno er diavolo! Per noi la marana era come il Mississipì".

I protagonisti del suo cinema saranno gli invisibili, coloro che vivono ai margini, nello spaventoso cono d'ombra creato dalla società dei consumi; le nuove generazioni dei diseredati sì, ma anche le donne del nord e del sud, trasformate in manichini patinati da copertina se giovani (Essere donne, 1965) o ricoperte da lunghe sottane, con la testa dentro rituali antichi e un fazzoletto nero, se anziane contadine (Maria e giorni, 1959 e Stendalì).

Cecilia Mangini se ne andata il 21 gennaio 2021. Restano con noi, il suo archivio, la sua ostinata vitalità e la passione per le immagini a scatti e in movimento.