Figura tra le più fondamentali del secolo scorso, Winston Churchill è stato esaustivo narratore di se stesso in fluviali volumi autobiografici che gli hanno garantito addirittura un Nobel per la Letteratura. Infinitamente affrontato dagli storici, rievocato dai media, celebrato dagli ammiratori e per di più ancora capace di offrire nuove chiavi di lettura, angolazioni inedite per esplorare lati meno evidenti. Per esempio: l’amicizia con Alexander Korda, leggendario uomo di cinema a cui si devono, tra gli altri, film come Il terzo uomo, Il ladro di Bagdad, Marius, fondatore della British Film Academy. In Churchill and the Movie Mogul, John Fleet racconta il legame tra i due, nato negli anni Trenta – nel momento di minima popolarità dello statista – sulla base del comune interesse nei confronti del mezzo cinematografico.
Di Korda, Churchill fu sì consulente ma soprattutto consigliere, come si può notare in Le sei mogli di Enrico VIII: a riascoltarli con attenzione, certi dialoghi del re sulla ferocia dei tedeschi rivelavano le preoccupazioni del politico sull’allora minimizzata ascesa nazista. E dunque, a partire dalla possibilità di ripensare il passato interpretandolo mediante parallelismi e allusioni alla realtà contemporanea, la collaborazione tra i due si fonda sull’idea di un cinema non banalmente di propaganda, ma che potesse esprimere al meglio l’idea di una nazione civile, democratica, solida, fiera, ostile alle dittature.
Indefesso e impetuoso, Churchill scrisse anche varie sceneggiature per Korda, tra cui un period drama sull’ultima parte del regno di Giorgio V. Il film non fu mai realizzato, ma le tracce della corrispondenza tra i due si ritrovano altrove, dal disegno della regina Elisabetta in Fire Over England come massimo modello di monarca capace di rappresentare i principi e i valori del popolo inglese a, soprattutto, Il grande ammiraglio. Apparentemente un dramma storico sulla relazione extraconiugale tra l’ammiraglio Nelson e Lady Hamilton, con due star di prima grandezza come Laurence Olivier e Vivien Leigh; in realtà, una parabola sull’isolazionismo, con la romantica nazione inglese che combatte in solitaria la tirannide europea. Parallelismo che nell’inconscio dello spettatore saltava ancor di più all’occhio dopo la visione dei servizi d’attualità contenuti nei cinegiornali in apertura di spettacolo.
Vasto ed eterogeneo parterre di intervistati, compresi testimoni del tempo in filmati d’archivio (la segretaria di Churchill, il ministro Duff Cooper, Ralph Richardson, la vivavoce di Michael Powell), studiosi come David Thomson fino all’onnisciente Stephen Fry. I cultori dello statista, a quanto pare non proprio accomodanti, hanno approvato il lavoro di Fleet. Per tutti gli altri, un documentario intrigante e gustoso.