Se il proprio paese tende ad uccidere, bisogna difendersi

                                                                                                                                              Augusto Genina, 19 febbraio 1927

 

"Eravamo un piccolo gruppo di ragazzi assolutamente ignoti. Il nostro primo giornaletto aveva una diffusione ancora molto modesta. E Genina ci fu subito amico, un amico giovane anche lui ma celebre; tanto celebre, accreditato, stimato da essere l'unico che riuscisse a far ronzare una macchina da presa in quei giorni di morte totale del cinema italiano".

È il 1926, Blasetti ha appena fondato la sua prima rivista cinematografica insieme a Enzo Cesana, Il mondo a lo schermo divenuto poi Lo schermo. È pieno di idee, di energia, scalpita; vuole risollevare le sorti del cinema italiano, ma anche lui che è stato un Maestro per le generazioni successive, ha bisogno di un mentore, di qualcuno che gli trasmetta le coordinate esatte per arrivare a compiere l'impresa. E di certo Genina lo è stato, non tanto con le parole - "non era un oratore", ricorda ancora Blasetti - , ma perché condivide profondamente la convinzione che per rianimare il cinema nazionale è necessario un rinnovamento radicale. Il cinema, per risorgere, ha bisogno di un terreno culturalmente fertile, pronto ad accogliere persone disposte a rischiare con nuove formule, preparate ad affrontare le nuove tecnologie.

Nonostante fosse consapevole delle difficoltà che avrebbe incontrato, Genina decide di girare in Italia una nuova versione della fortunata commedia di Camasio e Oxlia, Addio giovinezza! e per renderlo possibile s'inventa la prima co-produzione europea ante litteram, chiamando a recitare il ruolo del protagonista maschile, Walter Slezak, attore e cantante di origine austriaca, diventato famoso in film tedeschi.

Blasetti stesso che assiste ad una giornata di lavorazione del film, un giorno di settembre del 1926,  racconta: "Quando entrammo nel vecchio teatro a vetri assieme a lui constatammo subito di quale tecnica disponesse. Gli antichissimi modelli Debry e Pathé intorno ai quali si arrabattavano i giovani operatori Montuori e Martini muovevano il sorriso di Walter Slezak, proveniente dai teatri attrezzatissimi della Universum Film Aktin Gesellscahft. I tendoni neri applicati ai vetri del tetto, per esclusione della luce solare, erano slabbrati e rifiutavano la minima obbedienza alle corde di guida dei macchinisti. Le uniche lampade di cui si disponesse erano vecchie Jupiter traballanti".

Nonostante tutto, il talento di Genina, pur volendo soddisfare il gusto non sempre eccelso del pubblico, riesce a creare un film con punte di grande eleganza, grazie a una impostazione registica moderna, un montaggio sapiente e a una recitazione misurata, soprattutto delle due protagoniste femminili, Carmen Boni, la delicata Dorina e Elena Sangro nei panni della crepuscolare femme fatale.

"La modernità della tecnica - diceva Genina - è fatto molto importante, ma la modernità dei critici è fatto essenziale".

E sulla tiepide se non negative recensioni italiane a Addio giovinezza!, cala il sipario. Il Genina regista non lavorerà più per la cinematografia italiana fino al 1936 (escludendo l'omaggio cinematografico al grande attore Amleto Novelli), pur mantenendo rapporti con la madre patria in veste di produttore con l'AIDA (Autori Direttori Italiani Associati). Si trasferisce a Berlino dove la vivacità del mercato cinematografico gli permette di realizzare e vendere i propri film, come lui stesso ricorda: “Le case di noleggio mi aiutavano, comprando in anticipo i miei film. Ed io guadagnavo, vendendoli soprattutto all'estero”. Il 19 febbraio 1927 scrive a Blasetti: “Perché compiere miracoli inutili, come ad esempio ho fatto fino ad ora. Con quale guadagno? Perdita di tempo e critiche rabbiose. E poi, in Italia, senza l'organizzazione tecnica del personale e degli stabilimenti non si potrà far più nulla. Allora... meglio vale esiliarsi e cercare di ricominciare una nuova vita. È triste, ma è legittima difesa. Se il proprio paese tende ad uccidere, bisogna difendersi”. È la prima lettera di un fitto carteggio intercorso tra i due dal febbraio del 1927 fino all'aprile del 1928, conservato nell'archivio di Blasetti.

Genina, uomo di poche 'precise e misurate' parole, sulla carta si rivela generoso nel dare al giovane amico le sue impressioni, non nascondendo i suoi sentimenti. Gli racconta con quanta tristezza assiste “al meraviglioso sviluppo del lavoro cinematografico tedesco. Qui si producono, mi sembra, dai venti ai trenta film al mese. […] L'America, in Germania, può nulla o quasi. Un po' è il gusto, orientato decisamente verso il prodotto nazionale, ma molti i proprietari dei cinematografi che, a differenza di quanto avviene in Italia, sostengono con ogni mezzo il film tedesco. […] L'organizzazione è intatta e perfetta. Stabilimenti meravigliosi in piena efficienza. Tecnici e chimici di grande importanza. Tendenze a sviluppo sempre più grande. Industria ricca e in perfetta attività”.

Si complimenta con Blasetti per la nascita della nuova rivista cinematografo e gli promette di  poter contare sulla sua collaborazione. Infatti, nel n. 9 di cinematografo del 26 giugno 1927, compare un articolo di Genina, Contingentamento, organizzazione, spirito nazionalistico, in cui il regista, descrive il sistema produttivo tedesco in implicita e polemica contrapposizione a quello italiano del quale non fa menzione nell'articolo, ma nella lettera a Blasetti scrive: “Noi siamo ammalati. Febbri infettive, anemia generale. […] Prima di arrivare a questo grado di preparazione e di realtà fattiva, in Italia ci vorrà un pezzo. Pensare di organizzare di colpo è impossibile. L'organizzazione in genere, è opera del lavoro e non si può perciò credere di poter organizzare prima di lavorare. Pensare di far organizzare agli italiani, peggio che peggio. È come se si volesse imparare a condurre l'automobile, confidando il volante ad un altro”.

Genina soffre a Berlino, vive da esiliato, come lui stesso dichiara in una lettera del 9 giugno 1927: “Io non sono contento in Germania, soltanto lavoro. Qui esiste il lavoro ed è giusto ed è logico che un elemento come me non rimanga inattivo. Spero di far bene, per quanto qui sia un po' difficile. Ci sono i mezzi ma manca il tempo. La cinematografia, ridotta a strettissima formula industriale è fatta con l'orologio alla mano e spesso, anzi sempre, con l'ingordigia del grosso guadagno. Conclusione: chi ci rimette è l'artista, costretto a galoppare col pericolo di rompersi il collo”.

Il primo film che gira in Germania, Die Weisse Sklavin/L'esclave blanche (La schiava bianca),. “film internazionale fino alle ossa: un direttore artistico italiano, un attore russo nella parte di un arabo, la prima attrice tedesca, i comprimari francesi” – come scrive Masetti su 'Lo spettacolo d'Italia' -, gli vale critiche lusinghiere che però sottolineano il carattere apertamente commerciale dell'opera, confermando quello che Genina ha già scritto e che scrive a Blasetti il 26 maggio 1927:

“[…] ricevo solo oggi la sua del 30 aprile che mi è corsa dietro dappertutto nel mio viaggio africano. […] Qui io lavoro e lavorerò molto. Oggi ho terminato 'La schiava bianca', eseguita in un mese, compresi gli esterni in Africa. È fatto un po' in fretta, ma credo avrà ugualmente successo, data la magnifica e pittorica cornice in cui è inquadrata la storia. La cinematografia tedesca è tutta basata nella rapidità della lavorazione […].

Verso la fine di giugno, inizio subito un altro film con Carmen Boni. È preso da un romanzo francese di Pierre Soulaine e s'intitola Totte et sa chance. Spero di farne una buona cosa. Avrò terminato i primi di settembre. Allora inizierò un secondo e poi un terzo lavoro, questi ancora con Carmen Boni che ha qui un successo enorme. In questo momento lavora per tre case contemporaneamente!”.

Per Genina, gli anni dell'esilio sono anche quelli del sodalizio artistico-sentimentale con l'attrice Carmela Bonicatti, in arte Carmen Boni della quale il regista intuisce la potenzialità divistica nel  film L'ultimo Lord (1926) dove, per conquistare il cuore del nonno che odia le donne si traveste da ragazzo. La Boni rappresenta un tipo di bellezza femminile nuovo perché anticonformista; è “alta, magra, con la pelle scura e grandi occhi neri”. È il tipo alla garçonne, spregiudicata e indipendente e ottiene la popolarità prima all'estero, soprattutto in Germania e Francia, poi in Italia nei panni di Dorina in Addio giovinezza!.

E proprio su questo film Genina manda a Blasetti la trascrizione di un articolo che in parte lenisce l'amarezza dell'esilio. Firmato Jules Roque, è apparso su “un'importante rivista non cinematografica, dove si fa il bilancio delle varie attività industriali francesi”, il regista lo definisce “di critica seria”: “[...] Souhaitons la même réussite à la petite merveille qu'elle vient de nous présenter: Adieu Jeunesse!, mise en scène par Augusto Genina, interprétée par Carmen Boni, dont la collaboration nous avait déjà valu cette délicieuse Femme en homme [L'ultimo Lord]. Ne soyons donc pas surpris de la réussite de leur nouvelle production – nous fûmmes assez rudes envers les films italiens pour avoir à coeur de les honorer dès qu'ils nous enchantent".

L'articolo parla poi dei film tedeschi e conclude:

"… Répetons qu'il nous faut attendre beaucoup des Allemandes dans cette nouvelle forme, et, puisque nous venons de louer le film italien Adieu Jeunesse!, gardons notre place qui devient la dernière". (I francesi si assegnano da loro stessi un posto inferiore all'Italia e alla Germania!).

L'articolo è interessante perché elogiando Addio giovinezza! e me e Carmen Boni, non si elogia noi soli, ma generalizzando l'elogio, si riporta questo alla cinematografia italiana tutta”.

La stagione berlinese di Genina si conclude nel 1929, alle porte della rivoluzione sonora, dopo aver realizzato altri quattro film con protagonista Carmen Boni: Sprung ins Glück/Totte et sa chance (La storia di una piccola parigina), Das Mädchen der strasse (Scampolo) e Liebeskarneval/Mascherata d'amore, tutti usciti nel 1928 e Quartier Latin/Quartiere latino del 1929. L'ultima lettera che Genina invia a Blasetti, data 4 settembre 1928. Gli racconta che Scampolo e La storia di una piccola parigina hanno riscosso un grande successo anche a Londra, dove hanno ricevuto “critiche entusiastiche e veramente lusinghiere”.

La Francia e il cinema parlato lo attendono a braccia aperte.