Claudine di John Berry sorprende, a confronto con altre opere americane coeve su temi analoghi. Gli anni Settanta vedono l’affermazione del filone della blaxploitation, film a basso costo prodotti dalle major hollywoodiane in crisi e determinate a conquistare il bacino di pubblico afroamericano con storie ambientate nei ghetti con protagonisti antieroi neri come il superdetective Shaft, lo spacciatore Superfly o la letale Foxy Brown. Pur se meritevoli di aver creato un immaginario innovativo del nero e della sua realtà quotidiana, questi film fungono piuttosto da palliativo per la comunità, distogliendone “l’attenzione dalle lotte collettive e spostando l’accento verso l’individuale conseguimento di benessere materiale” (Franco Minganti), finendo per svilire e delegittimare la causa nera e fare delle questioni pressanti a essa connesse oggetti di una superficiale derisione e stereotipata rappresentazione.

Prodotto dalla neo-nata Third World Cinema – compagnia fondata per valorizzare maestranze e artisti appartenenti a minoranze etniche, così come opere che trattassero tematiche annesse – il film di Berry si presenta invece come un ritratto serio e realistico della condizione femminile nera di quel periodo. Le vicissitudini della protagonista, madre single proletaria divisa tra l’educazione e l’allevamento di sei figli, un lavoro come domestica non dichiarato per non perdere parte dei sussidi e una relazione in fieri con un giovane uomo, costituiscono il nucleo di una commedia romantica non priva di sottotracce analitiche della società statunitense.

L’assurdo meccanismo dei contributi statali, la difficoltà di trovare e mantenere un lavoro dignitoso, l’iniquità del sistema economico, matrimonio e vita familiare e soprattutto il nuovo ruolo femminile nella comunità nera, sono le principali tracce offerte dal film, che rende un’immagine molteplice e sfaccettata di una realtà raramente raccontata con tanta onestà sul grande schermo. Certo il forte tratto libidinoso della protagonista e la sua furberia truffaldina, il nucleo familiare monogenitoriale, la figlia Charlene che resta incinta, il primogenito Charles militante e reazionario verso la madre, l’iniziale fuga dell’amante Roop davanti alle difficoltà di una seria vita coniugale, sono dimostrazioni di una visione della popolazione di Harlem ancora condizionata dai vecchi retaggi della visione bianca del nero, da cui però Claudine dimostra anche di sapersi allontanare.

Da lì a poco il New Black Cinema avrebbe finalmente superato questo immaginario negativo e ormai scontato, ma l’opera di Berry costituisce già un importante passo avanti verso una concezione più matura e rispettosa di una questione che, allora come oggi, si dimostra essenziale per la convivenza armonica tra le parti in causa.