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Il conflitto narrativo di “Hopper/Welles”

Un dialogo tra due figure emblematiche nell’industria cinematografica del proprio tempo, alla stregua dei più formali confronti tra Francois Truffaut ed Alfred Hitchcock o la più recente intervista di Olivier Assayas ad Ingmar Berman, ma con una fondamentale differenza: in questo caso non è il giovane baldanzoso che interroga il Maestro, bensì il navigato autore che dall’alto della sua levatura culturale trova un perverso piacere a problematizzare le affermazioni dell’esordiente. Il ritratto che traspare è quello di un Orson Welles disilluso, pesantemente inaridito dalle diatribe produttive, contrapposto all’ingenua spensieratezza di Hopper, stella in ascesa che ancora conserva l’illusione di poter cambiare il mondo con il potere della propria arte.

“Serpico” e l’anomalia dell’emarginato

Il Serpico di Lumet è un’anomalia su più fronti, incarna i valori più alti della sua missione ma empatizza con la strada, respira con essa, dialoga più a suo agio con i malviventi che con i suoi colleghi. La trasformazione di Al Pacino si compie come un’esagerazione progressiva: man mano che la corruzione dei distretti si rivela più ampia, Lumet ne estremizza l’aspetto e le bizzarrie. Presto la giustificazione del travestimento “sotto copertura” non regge più: Serpico è ufficialmente un freak, un emarginato, un autentico figlio della City. Ha dismesso l’uniforme, quella divisa che non significa più niente per lui, e veste i panni dell’escluso. La morale di Serpico è diventata maniacale e i suoi gesti compulsivi come la città che percorre in lungo e in largo.

“Claudine” di John Berry e la fatica di essere donna

Prodotto dalla neo-nata Third World Cinema – compagnia fondata per valorizzare maestranze e artisti appartenenti a minoranze etniche, così come opere che trattassero tematiche annesse – Claudine si presenta come un ritratto serio e realistico della condizione femminile nera di quel periodo. Le vicissitudini della protagonista, madre single proletaria divisa tra l’educazione e l’allevamento di sei figli, un lavoro come domestica non dichiarato per non perdere parte dei sussidi e una relazione in fieri con un giovane uomo, costituiscono il nucleo di una commedia romantica non priva di sottotracce analitiche della società statunitense.

“Sono innocente” di Fritz Lang al Cinema Ritrovato 2020

La meraviglia di Sono innocente sta tutta nella regia di Lang, che sa costruire una tensione drammatica nelle sequenze d’interni più che in una narrativamente superflua fuga in macchina; che sa dedicare ai suoi protagonisti dei primi piani meravigliosi; che sa rendere le luci e le ombre riflessi di uno stato psicologico (Eddie in cella prima dell’ultimo pasto) o elemento scenografico caratterizzante i personaggi (il dialogo tra Joan e il prete, con un’ombra che disegna una croce sulla sedia); che sa infondere un profondo simbolismo a gesti e angolazioni di ripresa; che sa usare anche il sonoro come strumento drammaturgico (il colloquio attraverso il vetro); che, infine, sa rendere una contrapposizione tra bene e male, tra uomo e società, meno banale e dualistica di quanto sembri.

I festival salveranno il cinema

Forse ci vorrebbe il punto interrogativo alla fine del titolo. Eppure ne siamo convinti. Dopo la presentazione di Venezia 2020 e Cinema Ritrovato 2020 (rispettivamente alla 77esima e alla 34esima edizione), ci pare di annusare un entusiasmo superiore al solito. I due festival condividono tra l’altro una sezione – Venezia Classici – che quest’anno verrà ospitata nel suo habitat più naturale, Bologna, a suggellare il gemellaggio tra le due manifestazioni  Il cartellone di Venezia risulta al tempo stesso un po’ ermetico e molto suggestivo; mentre il Cinema Ritrovato, cambiando date e rinunciando a molti accreditati internazionali, avrà sicuramente un volto diverso dal solito. Tuttavia, questi cambiamenti sono inferiori al senso simbolico che – a fine estate – entrambi rivestiranno per la cultura cinematografica e per la promozione del cinema in sala.