Per presentare i protagonisti del suo nuovo film, Noè ci mostra una serie di audition tapes, in cui i ballerini rispondono ad una rapida serie di domande brevi. Il televisore su cui scorrono le interviste è incorniciato da un muro di VHS tra cui spicca Suspiria, film di Dario Argento che ha più di un punto in comune con Climax tra sceneggiatura e messa in scena. Recentemente, il film di Argento è stato oggetto di un omaggio da parte di Luca Guadagnino, che, con la pellicola omonima realizzata nel 2018, ne ha rivisitato la storia mantenendo intatti molti degli elementi che abbiamo modo di ritrovare anche all’interno dell’opera di Noé. Il trittico di pellicole costituisce così tre diversi esiti del medesimo tentativo: rappresentare la società attraverso il microcosmo di una compagnia di danza. I poli entro cui si sviluppa il racconto sono gli stessi in ogni film: il corpo di ballo, metafora della società, il ballo, metafora dell’agire sociale più o meno limitato da regole o coreografie, e il coreografo, metafora del potere; a seconda dell’interazione di questi tre differenti elementi ogni pellicola ci consegna una diversa immagine di vita comune.                                                                

Il Suspiria di Argento mette in scena velatamente il clima oppressivo degli anni di piombo: una società dai forti tratti repressivi, governata da un potere misterioso e inaccessibile a cui i giovani si oppongono confusamente. Il corpo di ballo è completamente subordinato agli insegnanti, e la pressione dell’autorità è tale da non permettere scelte che non siano l’obbedienza cieca o la morte. Il collegio di Friburgo insegna alle sue allieve la danza la classica, stile che richiede un grande sforzo per modellare il corpo e i suoi movimenti su un rigido sistema di regole. La componente istintuale dell’agire, recuperata dalle altre pellicole, è qui del tutto eliminata in favore dell’attenzione alla forma e l’adesione a modelli imposti, limitando grandemente la libertà d’espressione individuale. I coreografi sono padroni incontestati e incontestabili, impegnati a maneggiare un potere così grande da sfuggire ai tentativi di razionalizzazione ed essere considerato magia.                                                          

Il film-omaggio realizzato da Guadagnino aggiorna la visione del predecessore senza capovolgerla, ma aggiungendo innumerevoli sfumature degne di nota. I rapporti tra le ragazze del corpo di ballo si fanno più strutturati e complessi e, a differenza delle protagoniste spaurite di Argento, impegnate a fare fronte comune contro le misteriose insegnati, qui la coesione del corpo sociale è percorsa da una ragnatela di microfratture, invidie e ripicche. La danza reclama una dimensione istintuale assente nella pellicola precedente, che integra alla durezza del balletto una forte componente fisica ispirata all’approccio espressionista di Mary Wigman. La violenza, scollegata dal ballo all’interno del film di Argento, diventa parte di esso: Susie, sotto l’incantesimo di Madame Blanc, uccide danzando la compagna che aveva osato opporsi alla congrega. Crolla inoltre il muro che separava insegnanti e allievi, permettendo la nascita di rapporti di fiducia reciproca come quello tra la protagonista e Madame Blanc, impensabile nel film precedente. L’operazione di Guadagnino rispetta la visione di Argento (il potere rimane misterioso e indecifrabile, la violenza principalmente praticata sotto il velo del sovrannaturale), aggiungendo una scala di grigi nelle interazioni tra soggetti che la rende più moderna e meno manichea, donando umanità ai personaggi del cast.                             

Climax di Noé è invece un vero e proprio aggiornamento del testo originale, capace di proiettare il racconto di Argento nella contemporaneità. I ballerini appartengono alla stessa compagnia ma sono, prima che membri di un gruppo, soggettività indipendenti, come ribadito dalla loro presentazione mediante i tapes. Tutte le frizioni individuali, ignorate nel primo Suspiria e accennate da Guadagnino, escono qui allo scoperto: il cast è frammentato in una miriade di piccoli nuclei che si attraggono e respingono, creando una galassia di interazioni assenti negli altri due film. Anche la forma del ballo viene rivoluzionata: ogni legame con la tradizione classica e il suo sottotesto di disciplina dei corpi è negata; i ballerini di Climax sono performer di danza moderna e molti provengono dal mondo del krumping, ballo di matrice afroamericana in cui il confronto sulla pista prende la forma di uno scontro mimato. Il rapporto con l’autorità è a sua volta soggetto ad un cambio radicale: la coreografa non è più un’autorità misteriosa a cui obbedire ciecamente, ma un essere umano come gli altri, mostrato anche nella sua fragilità. Con il procedere della narrazione, il controllo della situazione appare chiaramente in mano ai ballerini, mentre il tradizionale detentore dell’autorità si dimostra chiaramente incapace di gestire le circostanze, sino ad un tragico epilogo. Con l’annullamento di ogni distanza tra corpo sociale e potere costituito crolla anche la maschera della magia, e gli avvenimenti si consumano all’interno di un quadro estremamente razionale: il delirio vissuto dai ballerini viene rapidamente ricondotto all’assunzione di stupefacenti, e affrontato con consapevolezza. L’uso della violenza sfugge dalle mani del potere per diventare capillare e diffuso, permettendo casi di autolesionismo assenti all’interno delle altre pellicole.                                      

Se tutte e tre le pellicole considerate si impegnano a portare sul grande schermo una metafora della società, a Noé va riconosciuto il merito di aver aggiornato il codice individuato da Argento, sfruttandolo per consegnare al pubblico un’efficace istantanea della contemporaneità. La folla si scopre insieme di soggettività, i comportamenti individuali si fanno più liberi e l’idea di un grande potere misterioso abbandona le luci della ribalta, lasciando la molteplicità ballare, disordinata, in mezzo alla pista.