Clint Eastwood è l'America. Che si tratti di un solitario pistolero senza nome o dell'integerrimo ispettore Callaghan, l'attore californiano ha sempre portato in scena il suo volto granitico per elevarlo a icona dell'individualismo ribelle e appassionato su cui si poggia la storia del proprio paese. Passato alla regia, l'eroe americano è diventato inevitabilmente il vate della nazione, narratore delle “magnifiche sorti e progressive” degli States così come delle sue innumerevoli zone d'ombra. Alle soglie dei novant'anni, il Maestro ribadisce la sua centralità nel cinema americano con Ore 15:17 – Attacco al treno, opera mutaforma con cui il regista ribalta la sua conclamata classicità e porta avanti la sua personale epica dell'uomo comune.
Assieme ad American Sniper e Sully, questo film costituisce un'ideale trilogia dell'Average Joe, l'americano medio senza arte né parte che trova in Anthony Sadler, Spencer Stone e Alek Skarlatos i suoi massimi rappresentanti. Il racconto parte dall'infanzia dei tre protagonisti, con particolare attenzione verso Alek e Spencer, e ce li mostra come figli dell'America post 11 Settembre. Vivaci e indisciplinati a scuola, i ragazzi giocano a fare la guerra e sognano di diventare soldati per difendere il proprio paese, sono figli cresciuti da madri single che, in assenza di un padre, si affidano allo zio Sam per trovare il loro posto nel mondo; ma se il Chris Kyle di American Sniper diventa il più letale cecchino nella storia dell'esercito americano e il capitano Sully compie un salvataggio impossibile per sfuggire al fantasma del World Trade Center, i due giovani di Sacramento sono troppo inadeguati per diventare veri soldati o vengono spediti in paesi che non rappresentano più una minaccia per gli Stati Uniti.
Sempliciotti e sognatori, Eastwood mette in scena questi eroi mancati con uno sguardo benevolo e colmo d'affetto che rimane invariato nonostante i continui cambi di genere del film: dopo un inizio da romanzo di formazione, il racconto diventa un road trip adolescenziale dove i protagonisti attraversano un'Europa da cartolina e si trasforma poi in un thriller d'azione con la fulminante sequenza dell'attentato al treno, punto di deflagrazione della storia in cui vengono rivelate le vere intenzioni del regista. Million Dollar Baby partiva dalla boxe per diventare un racconto dolente sulla solitudine e il lutto, Invictus utilizzava il rugby per raccontare il Sud Africa post Apartheid: in Ore 15:17 la cronaca di uno sventato attacco terroristico diventa una commovente parabola sull'imperscrutabilità del Caso e sulla volontà individuale di fare la differenza nel momento del bisogno.
Una storia americana, quindi, ma anche universale e portatrice di un messaggio tanto semplice quanto potente che culmina nella meravigliosa sequenza del discorso di Hollande, rivelatrice della scelta rosselliniana di Clint di affidare la parte dei protagonisti ai veri eroi della vicenda: nessun attore, per quanto bravo, avrebbe potuto trasporre con credibilità lo stupore e la naïveté di tre uomini comuni ritrovatisi, per un attimo, al centro del mondo. Morando Morandini, a proposito de Gli spietati, diceva che “Clint Eastwood è come il vino buono, invecchiando migliora”: ventisei anni dopo, il Maestro di San Francisco tiene fede alle parole del critico regalandoci un'opera ricca di momenti di cinema altissimi che tiene testa ai suoi predecessori e parla dell'America – presente e possibile – con una grazia senza eguali.