Per un soffio Contratto per uccidere non scrisse un pezzo di storia dell'audiovisivo; nei piani della Universal avrebbe dovuto essere il primissimo film per la televisione, fu poi dirottato sulle sale perchè giudicato inadatto al pubblico del piccolo schermo. Ancora anni dopo Don Siegel faceva lo gnorri, rivendicando con gran parte di ragione un trattamento della violenza più psicologico che grafico rispetto ad esempio all'amato-odiato figlioccio Peckinpah. Ma è innegabile che in quegli anni stesse portando l'asticella pericolosamente in alto. Milano Calibro 9 deve tanto a Madigan. Non è un paese per vecchi a Chi ucciderà Charley Varrick?. Qui, non passano neanche due minuti prima che un torvo e imponente Lee Marvin colpisca al volto una donna non vedente.

Sfumata l'occasione istituzionale, "sprecata" sul più blando See How They Run, lo si ricorda semmai per l'ultima (e solida) interpretazione di Ronald Reagan prima della carriera politica, ironicamente anche la sola in un ruolo negativo; o perchè le riprese erano in corso quando esplose la notizia dell'omicidio Kennedy, con pesanti ricadute sull'umore dell'amica personale del presidente Angie Dickinson. Gli aneddoti sulla relazione di Contratto per uccidere  con questi due uomini chiave del novecento americano ne esemplificano il fallimento: il post-jfk influì sulla decisione della NBC di non mandarlo in onda, ritenendo il momento troppo delicato. Quanto a Reagan, pare lo odiasse fino a temere che la sua immagine ne fosse danneggiata, per via soprattutto di una scena in cui schiaffeggia la Dickinson.

Quando si menziona Siegel più che in altri casi sembra impossibile scindere l'uomo dal suo lavoro. A quel signore gentile e riservato, incarnazione dell'anti-glamour, corrispondeva un formidabile professionista tenuto su un palmo di mano per l'efficienza e rapidità con cui convertiva piccoli o medi budget in prodotti ad alto tasso di intrattenimento. Che dietro la patata bollente che la Universal si trovò per le mani ci fosse un simile operaio dell'industria suona strano: l'ha inquadrato meglio di tutti Peter Bogdanovich parlando di "sobria ambiguità". Le apparenti contraddizioni di Siegel sembra esistano in schiaffo ai nostri preconcetti. Ad esempio che un rapporto proficuo e duraturo con le produzioni possa essere costellato, ma verrebbe da dire alimentato, da scontri continui e sanguinosi per la propria indipendenza artistica. O che chi predica un approccio tanto professionale possa poi affermare "faccio film unicamente per me stesso".

Figura di transizione fra il vecchio sistema degli studios (l'esordio La morte viene da Scotland Yard data 1946) e la resurrezione di fine anni '60, Siegel ha il fascino dinamico della crisalide. Come i grandi maestri hollywoodiani reagiva alle interpretazioni dei suoi film con un sorrisetto di sufficienza. Come i Movie Brats guardava all'Europa senza riserve; figlio dei primi, si preoccupava soprattutto di narrare nel miglior modo possibile una storia. Padre dei secondi non solo riusciva, ma teneva, a dire qualcosa. Ogni suo protagonista ne sublima l'amore violento per la libertà, lungo una stirpe di “Dirty Harries” iniziata venticinque anni buoni prima di Il caso Scorpio è tuo! annoverando significativamente anche figure di criminali, come il maniaco interpretato da Eli Wallach in Crimine silenzioso incapace di adeguarsi al codice di comportamento degli "onesti fuorilegge"; o come il Lee Marvin di Contratto per uccidere che aggiunge al piatto questa ricerca di senso, all'insegna di un esistenzialismo gelido, sardonico, simmetrico di cui si ricorderà John Boorman per Senza un attimo di tregua.

Lo spunto è in uno dei brevissimi 49 racconti di Ernest Hemingway. Siccome un adattamento esisteva già (il capolavoro di Siodmak I Gangsters del 1946) Siegel scelse per differenziarsene di raccontare la storia dal punto di vista degli assassini; ma si era talmente innamorato di un dettaglio di trama da conservarlo e porlo al centro dell'azione: un uomo aspetta immobile, sdraiato sul suo letto, che vengano ad ucciderlo. Nella prima scena i sicari dagli spessi occhiali scuri interpretati da Marvin e Clu Gulager freddano in una clinica per ciechi Johnny North (John Cassavetes) che non si difende. Perchè? Si è chiesto il regista leggendo il racconto. Perchè? Si chiede Marvin e tanto basta a lacerare il fragile velo fra killer e detective. Sarà lo stesso in Chi ucciderà Charley Varrick? dove "buoni" e "cattivi" sono tutti criminali, a investigare è uno spietato sicario e le distanze fra pistola e bersaglio si stemperano in un unico universo morale. L'assassino - tipo grosso, taciturno, di quieta bravado hemingwaiana - legge sul biglietto da visita del protagonista il motto di Siegel, "Charley Varrick - l'ultimo degli indipendenti". "Potrebbe anche esserlo" dice scrollando le spalle prima di tornare a inseguirlo.