Il film Cronaca familiare si apre con due foto di famiglia, ultime testimonianze di una memoria che il protagonista, Enrico, cerca di ricostruire. Dalla notizia della morte del fratello Lorenzo, inizia il racconto in prima persona della triste vicenda della sua famiglia. Marcello Mastroianni ci dimostra ancora una volta la sua grande capacità di entrare dolcemente nel cuore di un personaggio, in questo caso intimo e drammatico. Ispiratosi alla pittura di Ottone Rosai, Valerio Zurlini dipinge una Toscana desolata, con colori sbiaditi, nelle cui stradine il personaggio si perde. Enrico cammina e noi lo seguiamo di spalle, rincorrendo il filo delle sue memorie. Sempre di spalle si sofferma a guardare un quadro, attraverso cui entriamo nella dimensione del passato.
Dopo la morte della madre i fratelli Lorenzo ed Enrico crescono in due contesti separati: Enrico con la nonna, e Lorenzo in una famiglia aristocratica del paese, che lo educa da gentiluomo. Un giorno Lorenzo bussa alla porta della misera stanza in affitto dove vive Enrico: ha già diciotto anni e cerca un posto dove passare la notte. Inizia il lavoro di corteggiamento, tra sguardi mancati e parole non dette: vorrebbero sapere tutto l’uno dell’altro, ma non hanno il coraggio di esporsi. Con una sigaretta in bocca, Lorenzo tiene in mano una foto della madre, tutto ciò che gli rimane di lei: non può fidarsi di nient’altro oltre che di quell’unica immagine.
Ma una foto non la rende umana, vicina, non può affezionarsi ad un volto che è a lui sconosciuto. Così nel buio, sdraiati in uno stesso letto (come un utero materno), scorrono i ricordi, i profumi, il sapore della marmellata d’arancio e tutte quelle piccole cose che fanno resuscitare l’assenza. Adesso non sono più soli, sono loro due contro il mondo uniti da un legame indissolubile: quello familiare. Ma la famiglia non li libera, li ingabbia. La nonna è chiusa in un ospizio, che per lei è più simile ad una caserma, e tutto riecheggia la morte. Morte nella camera decadente e negli abiti neri che indossa Enrico, ma soprattutto nel giovane corpo ormai debilitato dalla malattia di Lorenzo, piccolo uomo alla ricerca del suo posto nel mondo, che ha sofferto le pene del padre che li ha abbandonati da piccoli (una presenza-assenza nel film che carica di maggiore drammaticità il loro rapporto).
Assistiamo a un quadro di nostalgia, carico di parole e di silenzi, che ci offre la visione antesignana della nostra generazione, incapace di autodeterminarsi, venuta meno ogni direttiva familiare e sociale. Il film vinse il Leone d’Oro nel 1962, ex aequo con L’infanzia di Ivan di Tarkovskij e oggi lo vediamo nella versione restaurata dalla Cineteca Nazionale, sotto la supervisione di Giuseppe Rotunno.