Esprimere il massimo della vitalità e dell'entusiasmo morendo, legati a un letto di contenzione: è la condizione che lega inscindibilmente l'Ettore pasoliniano di Mamma Roma e Lorenzo, quell'uomo ancora bambino che esala l'ultimo respiro conservando i tratti dell'ingenua e tenera fanciullezza che Valerio Zurlini racconta in Cronaca familiare. A loro modo, sullo sfondo di due vicende che prenderanno poi le pieghe del dramma familiare e psicologico, Pasolini e Zurlini riportano sullo schermo l'indigenza e le ristrettezze fisiche e morali a cui dovevano far fronte le classi meno abbienti nel dopo guerra, il rifiuto e poi la necessità del compromesso e l'isolamento che segue alla mancanza di prospettive e risorse; se, da un lato, è come se il poeta friulano planasse sulla tragicità della storia senza macigni sul cuore, con una leggerezza che lascia spazio a parentesi umoristiche e di una tenuità che stemperano l'atmosfera di fondo – e Anna Magnani ne è la protagonista - non c'è nulla che, in Zurlini, ne addolcisca i toni o smussi gli angoli, poiché tutto è vissuto con il massimo del gelo e della lucidità della cronaca, soltanto a tratti diluita dalla presenza di un sonoro dalle mezze tinte mélo.
In Cronaca familiare, la controparte maschile della Magnani indossa gli abiti vecchi e logori di un aspirante giornalista interpretato da Marcello Mastroianni. Alla notizia della morte del fratello, quest'uomo solo e solitario, con le mani sempre in tasca e la stessa rassegnazione del personaggio di Alain Delon in La prima notte di quiete, ripercorrerà tutte le tappe della loro vita, dalla separazione al ricongiungimento, al continuo perdersi e ritrovarsi negli anfratti di una realtà impietosa, specialmente per chi, come Lorenzo, il mondo non l'ha mai realmente vissuto se non attraverso un'ininterrotta illusione, quel disincanto a cui era stato abituato da un contesto familiare fittizio e di convenienza; lo stesso che finirà poi per rovinarlo. Sembra che la malattia che contrae il giovane, infatti, sia quasi una ribellione fisica all'impossibilità, o meglio, all'incapacità di affrontare la vita, in tutta la sua brutalità; e perciò, pur essendosi sposato e avendo avuto una bambina, Lorenzo morirà vergine e puro, ancora innocente e attaccato al cordone ombelicale dello spettro materno. Morirà invocando sua madre allo stesso modo di Ettore in Mamma Roma.
Quello di Zurlini è un racconto di nostalgia e memoria, distaccato e nello stesso tempo evocativo a livello figurativo e simbolico: a dimostrarlo sono l'intensità dei primi piani con cui Mastroianni trapassa letteralmente lo schermo, arrivando a calarsi nelle strettoie della sua e altrui psicologia in modo netto ed impietoso; è un film sulle attese, innumerevoli fin dalle prime battute dal film, dall'apprensione della nonna nell'ospizio, inquieta fino alle agognate apparizioni dei nipoti al momento in cui devono lasciarsi, in cui la cupezza della fotografia, forte di un restauro supervisionato dallo stesso direttore della fotografia Giuseppe Rotunno, restituisce tutto il senso della melancolica sospensione che contraddistingue l'approccio di Valerio Zurlini sulla realtà.