Lionel Rogosin è considerato uno dei più importanti documentaristi del cinema americano. Fortemente influenzato da Robert Flaherty e dal neorealismo italiano, la sua produzione si muove costantemente tra l’inchiesta e il cinema verità, fortemente rivolta al sociale di cui scandaglia in prospettiva progressista le pieghe più oscure e sconosciute del panorama contemporaneo nazionale e non solo. Film come On the Bowery (1956) sul quartiere newyorkese degli alcolisti, Out (1957) sui profughi ungheresi, Come Back Africa (1958) sulla segregazione razziale in Sud Africa o l’essenziale opera del cinema antimilitarista Good Times, Wonderful Times (1966) sono tra i titoli più significativi del New American Cinema di cui Rogosin è considerato uno dei maggiori esponenti.

Ma è il trittico sulla questione afroamericana a rappresentare la vetta del regista di New York, tra i primi autori bianchi a occuparsi esplicitamente della realtà nera e la lotta per i Diritti civili negli Stati Uniti. Se Black Roots (1972) guarda alla coeva scena musicale black e al recupero della tradizione folk e blues per raccontare la nuova esperienza afroamericanista e Black Fantasy (1972) segue una coppia mista e la difficoltà di farsi accettare come marito e moglie, Woodcutters of the Deep South (1973) e il suo film più politico, un’inchiesta sulla The Gulf-Coast Pulpwood Association di Montgomery (Alabama), neonata cooperativa di taglialegna che vede uniti operai bianchi e neri al fine di tutelare i propri diritti contro le aziende che speculano sul lavoro e sulla sicurezza dei boscaioli.

Nello stile che gli è solito, Rogosin dà voce a chi non ne ha portando sullo schermo la vita e la quotidianità dei cooperanti nel tentativo di spiegare la complessità della loro impresa e l’enorme valore simbolico di cui si fa veicolo, esempio di possibile unità tra i lavoratori di tutte le razze. In un periodo tanto turbolento come quello degli anni Sessanta, in un’America ancora sconvolta dagli omicidi dei Kennedy, Malcolm X e Martin Luther King quali segni di una violenta opposizione all’integrazione etnica, la Pulpwood rappresenta l’evidente progresso in cui una parte del Paese dimostra di credere nonostante una politica istituzionale tendenzialmente avversa. Come afferma il regista “ciò che fecero J. Edgar Hoover, la CIA e tutta la schiera di elementi di destra nel Congresso e nel paese fu eliminare molte proteste genuine. (…) Era una nuova versione del fascismo, che allora etichettai come fascismo di Madison Avenue. Sono certo che portò alla caduta di molte istituzioni progressiste e al disfacimento del tessuto democratico dell’America”.

In Working Together, a quasi cinquant'anni di distanza il figlio di Rogosin Michael, indaga sulle conseguenze e le questioni al centro del film del padre. Tornando sui luoghi dove venne girato il documentario e intervistandone i protagonisti ancora in vita, l’autore sviluppa un’inchiesta sull’ereditarietà di quell’esperienza, sul piano del lavoro quanto soprattutto su quello politico e sociale: “Abbiamo scoperto il chi, il cosa e il perché impliciti nel film di mio padre. La comprensione di ciò che accadde allora spiega cosa è accaduto e accade nell’America di oggi”. Il passato non smette mai di parlare del presente.