Ricordando il suo co-regista di Un giorno a New York (1949), Cantando sotto la pioggia (1952) e È sempre bel tempo (1955), Stanley Donen definisce Gene Kelly come l’unico cantante e ballerino del tempo “con gli attributi”. Un’attestazione di mascolinità che ben si accordava con l’immagine divistica che Kelly stesso voleva dare di sé, descrivendosi come il “Marlon Brando dei ballerini” e contrapponendosi a Fred Astaire che di quello stesso mondo avrebbe rappresentato il Cary Grant. La conferma degli attributi maschili di Kelly rispondeva anche alle ansie patriarcali degli anni successivi al secondo conflitto mondiale rispetto alle possibili deviazioni dallo standard di mascolinità che l’essere ballerino poteva implicare.

Nonostante le rassicurazioni del suo autore, i musical di Donen realizzati per la MGM con il contributo decisivo di tantissimi artisti omosessuali che lavoravano nella Freed Unit evidenziano una spettacolarizzazione camp del corpo maschile che diventa un oggetto esibito di desiderio, occupando la stessa posizione che Laura Mulvey ha polemicamente descritto per il corpo femminile sotto lo sguardo maschile. Conseguentemente, questi film operano una decostruzione narrativa delle gerarchie binarie maschile/femminile, eterosessuale/omosessuale, virile/effeminato alla base delle tradizionali relazioni di genere mostrandone l’artificiosità, spesso infatti cogliendo i personaggi in set cinematografici o palcoscenici all’interno del film stesso in una costante mise-en-abîme che rifiuta progressioni narrative e chiusure normative.

Sia che il protagonista sia il più aggressivo Kelly o il più affabile Astaire, i musical di Donen che, insieme a quelli di Vincente Minnelli contribuirono a stabilire le convenzioni per il genere nel secondo dopoguerra, mettono il corpo maschile al centro dello spettacolo del pubblico. In particolare, assoli come “I Like Myself” per Gene Kelly in È sempre bel tempo o “Sunday Jumps” e "You’re All the World to Me” per Fred Astaire in Sua Altezza si sposa (1951) costruiscono il corpo maschile come uno spettacolo erotico. Come nella migliore tradizione camp, questi numeri musicali sottolineano l’artificiosità e l’esagerazione della messa in scena: nei passanti che fungono da pubblico nel caso di Gene Kelly, nell’interazione ironica di Astaire con gli arredi della palestra al posto del partner femminile in “Sunday Jumps” (una parodia della mascolinità “con attributi” del rivale Kelly?) e nel suo ballo che orbita attorno alla stanza in “You’re All the World to Me”. I numeri musicali diventano puro gioco fisico, puro piacere, che, nonostante le dichiarazioni degli autori che li consideravano strumentali all’avanzare della storia d’amore eterosessuale, ne fermano, al contrario, la narrazione.

Certamente i musical di Donen hanno al loro centro storie sentimentali eterosessuali. Tuttavia, attraverso la scelta dei co-protagonisti e lo sviluppo di trame secondarie, i rapporti di genere tradizionali vengono fortemente messi in discussione. Per esempio, l’abbinamento di Gene Kelly e Frank Sinatra in Un giorno a New York ricorda la stessa coppia di Due marinai e una ragazza (1945) di George Sidney (ma coreografato anche da Donen) aggiungendo una caratterizzazione omo-sociale ai due personaggi. Jackie Leighton, interpretata da Cyd Charisse, in È sempre bel tempo sfuma le sfere del maschile/femminile nel prodigioso “Baby You Knock Me Out” sfoggiando una profonda conoscenza della boxe e flirtando con un nutrito gruppo di pugili. Le storie d’amore tra Astaire/Sarah Churchill e tra Jane Powell/Peter Lawford in Sua Altezza si sposa sono in qualche modo destrutturate dai numeri musicali che accoppiano insistentemente Astaire e Powell, fratello e sorella nel film, fermando la narrazione eterosessuale.

Attraverso l’uso del camp come stile e come strategia culturale, i musical di Donen, molto più efficacemente della successiva e più esplicita commedia Quei due (1969), rendevano leggibili fantasie e desideri di un pubblico che ancora non poteva uscire allo scoperto.