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Dancing Queer: il corpo maschile nei musical di Stanley Donen

Nonostante le rassicurazioni del suo autore, i musical di Donen realizzati per la MGM con il contributo decisivo di tantissimi artisti omosessuali che lavoravano nella Freed Unit evidenziano una spettacolarizzazione camp del corpo maschile che diventa un oggetto esibito di desiderio, occupando la stessa posizione che Laura Mulvey ha polemicamente descritto per il corpo femminile sotto lo sguardo maschile. Conseguentemente, questi film operano una decostruzione narrativa delle gerarchie binarie maschile/femminile, eterosessuale/omosessuale, virile/effeminato alla base delle tradizionali relazioni di genere mostrandone l’artificiosità, spesso infatti cogliendo i personaggi in set cinematografici o palcoscenici all’interno del film stesso in una costante mise-en-abîme che rifiuta progressioni narrative e chiusure normative.

Il crepuscolo del musical. Ritorno a Gene Kelly

Non lasciamoci illudere dal pur splendido exploit di La La Land: il musical hollywoodiano, come l’abbiamo amato noi spettatori consapevoli del grande avvenire alle nostre spalle, non esiste più. Una tesi che proprio questo film tende a confermare: basterebbe rilevare la presenza di attori che reinterpretano il canto e il ballo senza essere cantanti e ballerini a dirci quanto sia una vera trenodia al genere. Se accantoniamo per un attimo Fred Astaire, che trovò in Spettacolo di varietà (Vincente Minnelli, 1953) uno struggente autoritratto, ci accorgiamo che Gene Kelly è forse colui che meglio ha saputo incarnare il senso di una fine. Non c’è solo Brigadoon (Minnelli, 1954) ad offrirci l’orizzonte di una visione dove l’altrove ha i contorni onirici di un incubo accogliente.

I sogni a occhi aperti di “Cappello a cilindro”

Le musiche di Irving Berling  seguono l’andamento della trama, facendosi puntuale commento delle diverse fasi dell’innamoramento, dai solo di tip-tap di Fred Astaire fino al romantico ballo finale sullo sfondo di una Venezia arabeggiante e volutamente kitsch, luogo idealizzato in cui ambientare le frivole vicende di cuore dei personaggi e dei comprimari. In fondo, nulla in Cappello a cilindro pare da prendere troppo sul serio: una favola moderna in cui la voglia di fuga, di evasione – paradossalmente dentro una sala cinematografica – è il vero motore, capace di alimentare i sogni ad occhi aperti di numerose generazioni, ieri come oggi.

“Cenerentola a Parigi” e la favola della merce

Come altri film del medesimo periodo (Sabrina, Papà Gambalunga e Arianna), Cenerentola a Parigi si può considerare una fantasia di ricostruzione da piano Marshall, strettamente connessa alla favola di Cenerentola, in cui il cambio d’abito si configura come accettazione di una nuova ideologia e trionfa il lieto fine, molto simile a un matrimonio combinato. L’Europa assume le sembianze di una sprovveduta vogliosa di abbracciare allo stesso tempo l’americano e l’ideologia capitalista, e pronta a concedere in cambio amore e capitale culturale.