Il tema della violenza di genere appare a più riprese nella rassegna di Visioni Italiane. Tra i vari titoli spiccano, per sensibilità e scelte registiche, Il popolo delle donne (Yuri Ancarani, 2023) e Io e il Secco (Gianluca Santoni, 2023), lungometraggi presenti in programma come eventi speciali.

Il nuovo lavoro di Ancarani sembra non possedere lo stesso linguaggio audiovisivo a cui il video- e filmmaker ha abituato il pubblico – niente musica d’effetto, niente inquadrature spettacolari. Lo spazio filmico viene ceduto completamente alle parole della psicoterapeuta e psicoanalista Marina Valcarenghi, la quale viene registrata durante una sorta di lectio magistralis sul tema della violenza di genere e soprattutto sul pensiero radicato negli uomini colpevoli di brutalità nei confronti delle donne; il soggetto narrante è per la maggior parte del tempo l’unica figura umana presente nell’inquadratura e l’attenzione dello spettatore è inevitabilmente direzionata al monologo della Valcarenghi.

In realtà, analizzando la precedente filmografia di Ancarani, ci si rende presto conto del ruolo di testimone che il regista spesso assume. In The Challenge così come in Atlantide o nel cortometraggio Il capo, la cifra stilistica di Ancarani si consolida nell’osservazione attenta della realtà attraverso uno sguardo dall’identità estetica ben definita, caratterizzata da dinamicità visiva e sonora; Il popolo delle donne, sebbene sia privo proprio del movimento, sottolinea la sensibilità socioculturale di Ancarani, il quale si fa promotore e propulsore di discorsi moralmente rilevanti (come nel cortometraggio San Vittore).

Io e il Secco, pur trattandosi di un’opera di finzione, si muove in una direzione pressoché simile: cosa succede nella testa di un bambino quando assiste alle violenze che il padre perpetra nei confronti della madre? Il film di Santoni mette in luce il modo in cui l’orrore di certe azioni può plasmare l’ingenuità infantile portando alla responsabilizzazione prematura, alla trasformazione del gioco, all’accettazione della violenza come forma risolutiva.

Per salvare la madre dall’ennesima visita dal medico, dall’ennesimo livido, dall’ennesimo osso rotto, il piccolo Denni decide che il padre deve morire – per lui non esiste altra soluzione; assolda quindi il Secco, un delinquentello di bassa lega, per compiere l’omicidio. La crudeltà che aleggia nella vita del bambino incupisce la fotografia e ingrigisce ancora di più (se possibile) la periferia romagnola.

La Valcarenghi, ne Il popolo delle donne, presenta i pensieri irrazionali che attivano la violenza in uomini adulti, mentre il rapporto tra Denni e il padre così come tra Denni e il Secco, illustra il ruolo formativo della violenza. Le due opere ripropongono quella teoria per cui il discorso sulla violenza di genere è, innanzitutto, un discorso sulla decostruzione dell’uomo macho, unicamente violento, la cui risoluzione delle difficoltà avviene con la repressione del pensiero critico in favore della reazione rabbiosa.

Sono entrambi film che meritano plauso per il trattamento del tema: la regia e le scelte di sceneggiatura lasciano spazio alla mente di comprende e al cuore di sobbalzare di fronte una realtà spaventosa.