Considerato da molti la prima commedia sofisticata svedese, Erotikon di Mauritz Stiller (fautore del successo di Greta Garbo negli Stati Uniti) è il ritratto borghese del gioco di seduzione e di equivoci fra coppie che si slegano e si attorcigliano in un nodo degli inganni e dei sotterfugi compiuti apparentemente ai danni di tutti. Prodotto nel 1919, sei anni prima del capolavoro I Cavalieri di Ekebù (Gösta Berlings saga, 1924, ufficiale debutto al cinema della Garbo), il film è liberamente ispirato alla piéce teatrale A Kék róka (La volpe azzurra, 1917) del drammaturgo ungherese Ferenc Herczeg e vede già dall’inizio vincitrice assoluta la bella Irene (Tora Teje), moglie di un professore universitario ossessionato dal comportamento degli scarabei e soprattutto dalla loro vita sessuale.

Peculiare il fatto che per natura uno scarabeo debba avere una, due o tre compagne per ammettere una riproduzione, Stiller applica questo sistema voluto dal mondo animale anche ai suoi cinque protagonisti. Irene, legata al professore, ma innamorata dell’amico di famiglia Leo, la nipote Marthe attratta (ricambiata) dallo zio e da Leo, Leo infatuato di Irene e di Martha, il barone Felix sposato, ma amante di Irene. Proprio Irene è però tra i cinque quella più arguta, domina la scena e tiene in pugno molto facilmente e a suo piacimento chiunque le capiti a tiro; sarà forse perché il talento scenico di Tora Teje, attrice di stampo teatrale, si associa alla fama di diva dal sapore aristocratico che popola tutte le riviste di settore avvalendosi in patria dello status di più famosa attrice di quegli anni.

Uno dei momenti più interessanti della vicenda già abbastanza complessa da sciogliere, è la sequenza a teatro. È il momento dell’esibizione di Carina Ari, ballerina e componente della Royal Swedish Ballet (per Erotikon e per la sequenza viene ingaggiato l’intero corpo di ballo), circondata da lusso, sfarzo e sontuosità: il ballo eseguito per sedurre l’amante è carico però di una componente animalesca e selvaggia, quasi un rimando al doppio lato della medaglia delle relazioni create da Stiller e introdotte benissimo all’inizio del film con la metafora degli scarabei.

Piccola perla: le splendide didascalie sono opera dell’artista Alva Lundin, poi annoverata “unica specialista svedese dei cartelli”, un titolo piuttosto atipico per le illustratrici dell’epoca in quanto relegate alla semplice condizione di poter lavorare esclusivamente ai libri per bambini.