Il documentario Essere donne (1965), girato da Cecilia Mangini è stato all'epoca ingiustamente boicottato dagli stessi produttori e registi che facevano parte della Commissione ministeriale che decideva delle sorti dei medio e cortometraggi che accompagnavano la programmazione dei film nelle sale. Non ottenere l'appoggio degli esercenti e neppure il premio di qualità, significava negare  una vita sullo schermo al proprio film. Era un modo subdolo per censurare indirettamente quei documentari che affrontavano argomenti scomodi che il governo non desiderava far arrivare al pubblico. La documentazione conservata nell'Archivio di Cecilia Mangini e Lino Del Fra aiuta a capire le ragioni della sua 'bocciatura'.

Il nuovo restauro della Cineteca di Bologna, riporta finalmente in sala quest'opera alla quale il tempo non ha tolto la sua forza espressiva, il suo significato. L’obiettivo di Cecilia Mangini di documentare la realtà sconcertante della condizione lavorativa e familiare della donna a confronto con l’immagine femminile edulcorata proposta dall’industria culturale degli anni Sessanta, è una modalità d'inchiesta, ancora oggi valida.

Con il sostegno di Luciano Lusvardi, responsabile della sezione Stampa e Propaganda del PCI, Cecilia Mangini, prima documentarista femminile italiana, gira il paese, dai campi di uliveti pugliesi alle fabbriche milanesi, per incontrare le donne. La giornalista Bruna Bellonzi, presente alla proiezione privata del documentario, scrive su Noi Donne, il 22 maggio 1965 che il film mostra “il mondo della donna, le sue brucianti contraddizioni, il suo impossibile equilibrio fra un modo di essere vecchio di secoli e aspirazioni nuove”.

All’estero, Essere donne ottiene un grande successo. I maestri del documentario Joris Ivens, John Grierson e il polacco Jerzy Toeplitz, dedicano al film di Cecilia Mangini il premio speciale della giuria al Festival di Lipsia del 1965. Nello stesso anno, Essere donne verrà selezionato dal Festival Internazionale del cortometraggio e del documentario di Cracovia. Descritto come un'”inchiesta sincera e onesta” per la verità contenuta nelle immagini e per la “sobrietà della testimonianza”, la stampa italiana non tarda a esprimere l'indignazione di fronte all’esclusione di Essere donne dalla programmazione obbligatoria.

Felice Chilanti – che scrive il commento off del film con la collaborazione di Giuliana dal Pozzo – dichiara con fermezza la sua contrarietà in un telegramma a Cecilia Mangini che recita: “Ti esprimo mia solidale indignazione contro nuova offesa e violazione diritto dignità della cultura”. Paese Sera il 31 maggio 1965, pubblica un articolo dello stesso Chilanti dal titolo Essere donne o essere vampiri?, dove il documentario viene definito “nobile, fatto bene, ricco di valori poetici e morali”.

Perché un film così apprezzato sia all’estero che dalla critica nazionale non viene proiettato nelle sale italiane? La Bellonzi fa luce sul processo di selezione alla programmazione obbligatoria: “Dapprima li vede una commissione di censura che nega o meno il visto a seconda che vi riscontri o no elementi offensivi della moralità. Poi il documentario passa ad una seconda commissione, quella per la programmazione obbligatoria che deve accertare se l’opera presentata dispone dei requisiti minimi, artistici e tecnici (ossia se è bello, ben fotografato, ben commentato, ben musicato) per essere abbinato ad un film e venir così proiettato nei cinema normali”. In un anno, circa 200 documentari hanno la possibilità di concorrere al premio di qualità, ma non tutti lo ottengono. L’esclusione rappresenta un doppio danno; gli esercenti non li noleggiano e dunque non c'è alcun rientro economico per chi li ha realizzati e perdono l'occasione di concorrere al premio.

La Commissione ministeriale in questione – i cui membri sono stati scelti dal Ministero del Lavoro - era composta dal produttore Ermanno Donati, dal regista Piero Regnoli - tra l’altro ex-critico cinematografico di l’Osservatore Romano - dal musicista Franco Ferrara, dall’operatore Sandro d’Eva e infine dal critico Mario Gallo. La giuria ha espresso, a maggioranza, un giudizio negativo nei confronti di Essere donne, tanto che sempre la Bellonzi accusa la Commissione di aver interpretato questo documentario come un “sottoprodotto di infima qualità”; ponendo l'accento sulle vere ragioni della censura; “non è piaciuta la sua sincerità che è denuncia” e afferma inoltre che il giudizio non si è limitato agli aspetti tecnico-artistici, ma si è esteso al tema stesso, oggetto del documentario.

Essere Donne riceve il sostegno di Sandro d’Eva e del critico socialista Mario Gallo, ma la loro opinione non avrà voce in capitolo; la maggioranza pone un veto di carattere ideologico. I principali oppositori all’inserimento del film della Mangini nella programmazione, sarebbero stati il regista Piero Regnoli e il produttore Ermanno Donati, accomunati da una lunga collaborazione nella realizzazione di film cavallereschi e di film erotici d'ambientazione horror. Nell'articolo sopra citato, Felice Chilanti esprime il suo stupore di fronte alla loro presenza nella giuria: “Siamo convinti che produttori, registi e sceneggiatori di film sui vampiri non debbano, assolutamente, rappresentare lo Stato nel momento di decidere se un film come Essere donne meriti o non meriti di venire ammesso alla programmazione”.

Di fronte all'unanime dissenso, il Ministero dello Spettacolo diffonde un comunicato per smentire che nell’esclusione del film, siano intervenuti motivi di censura politico-ideologica, giustificando così la scelta della giuria: “Il comitato, il quale ha il compito di scegliere i cortometraggi da ammettere alla programmazione obbligatoria, è composto di rappresentanti delle diverse categorie della spettacolo, designati dalle rispettive associazioni”.

In relazione al comunicato, il periodico L’Unità scrive che è “evidente che qualsiasi comitato ministeriale, comunque composto, può essere soggetto per sua natura a condizionamenti e pressioni politico-ideologiche, ed agire di conseguenza” e denuncia la malafede del Ministero dello Spettacolo, notando che “tra i commissari hanno avuto peso determinante considerazioni di natura puramente politica”.

Cecilia Mangini non verrà ricompensata con la gioia di vedere il film sugli schermi italiani. Rimarrà “un pensiero lontano, irraggiungibile” - espressione usata dalla stessa regista nella sceneggiatura per definire il senso di frustrazione delle donne intervistate che sognano una vita diversa, fatta, invece, solo di “fatica e sacrificio e ancora sacrificio”.