“Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo.”  E se la tana del bianconiglio fosse in realtà il Multiverso? E Morpheus fosse un inetto marito e l’Eletta la disillusa moglie? Probabilmente staremmo guardando Everything Everywhere All at Once che proprio da Matrix attinge a piene mani. I “Daniels” (Daniel Kwan e Daniel Scheinert) plasmano un’imponente, folle e sovversiva opera cinematografica, dove le scelte e insoliti universi ne sono il cuore pulsante. 

Evelyn (Michelle Yeoh), sino-americana insoddisfatta, si destreggia tra il precariato lavorativo e affettivo: la lavanderia di famiglia che va avanti tra tasse mancate e corse forsennate presso l’ufficio IRS per comprovare le detrazioni al cospetto della temibile Deirdre Beaubeirdre (Jamie Lee Curtis); un matrimonio alla deriva con il maldestro Waymond (Jonathan Ke Quan) e una figlia omosessuale (Stephanie Hsu), che ricerca la sua approvazione, ma sembra sfuggirle sempre di più. Ogni giornata pare ripetersi ciclicamente, senza mai una pausa dalla giostra infernale.

Ed è forse per questo che il cerchio, figura geometrica perfetta, viene utilizzato ripetutamente all’interno del film (gli specchi, i segni sulle fatture, gli oblò delle lavatrici, gli adesivi, la forma del Bagel) per mettere a fuoco il caos che aleggia tra la vita dei protagonisti. Ma per Evelyn è un caos principalmente mentale - “ho tante cose per la testa” -, espresso visivamente dal disordine della scrivania e dell’ambiente domestico. A generare ulteriore scompiglio è l’improbabile missione che le viene affidata: il multiverso è minacciato e deve tentare di interrompere un’ambigua entropia cosmica; il tutto acquisendo dentro di sé le abilità delle sue molteplici varianti provenienti da altri mondi. 

I Daniels costruiscono così un complesso discorso filmico, composto da tre parti (Everything, Everywhere, All at Once), dove varie tematiche si incontrano e scontrano generando sullo schermo un’esplosione di colori, forme, generi che si susseguono velocemente al ritmo delle note dei Son Lux (ma non solo). Uno Sci-fi contaminato dalla commedia a tratti grottesca, dal melò, dal cinema d’azione che sfida la Marvel sul terreno caldo e attuale del multiverso (si pensi agli ultimi Spiderman - No Way Home e Dr. Strange nel Multiverso della Follia) a colpi di panoramiche a schiaffo, cambi di formato, montaggi paralleli e frenetici, split screen e inside joke.

Tuttavia i cineasti non si limitano a guardare al cinema contemporaneo, bensì saccheggiano ampiamente dalla produzione cinematografica passata, oltre il già citato Matrix, si scorge tra i frame il cinema di Hong Kong, Wong-Kar Wai, Zhang Yimou e gli sberleffi a classici come 2001: Odissea nello spazio e il film d’animazione Disney Ratatouille. Ed è mediante la sperimentazione formale che deflagra nella diegesi una peculiare riflessione sulla capacità di scegliere chi siamo e chi vogliamo essere, poiché ogni più infima decisione determina la nostra persona.

Ma nei mondi del possibile di Everything, Everywhere All at Once anche una scheggia di uno specchio rotto diventa un pretesto per svelare cosa cambierebbe se la (stra)ordinaria Evelyn avesse intrapreso strade diverse. Inoltre, uno specchio frammentato offre sfaccettature variegate della medesima cosa, no? Sì, perché uno dei punti cardine del film ruota attorno alla questione della prospettiva. I registi, così, disseminano nelle inquadrature costellazioni di occhi adesivi, che finiscono per “crivellare” anche la protagonista, quasi a suggerire agli spettatori che è vero che, di tanto in tanto, tutto sembra non avere un senso, ma a volte basterebbe solo guardare con occhi nuovi. Ed ecco quindi tornare la centralità del multiverso: ogni realtà è un punto di vista differente su noi stessi e sul modo in cui ci relazioniamo con gli altri.

Everything, Everywhere All at Once conquista il pubblico con il suo linguaggio più che mai attuale, senza che l’irriverenza formale sovrasti il suo contenuto. Dopotutto, è un film che riguarda i problemi quotidiani universali (o multiversali) di ognuno di noi; altro non siamo che particelle infinitesimali in grado di creare collisioni inaspettate e, talvolta, addirittura meravigliose.