Stabilire chi sia stato il più grande regista italiano di sempre, è praticamente impossibile, e sarebbe anche un esercizio mentale piuttosto inutile. Una cosa però è sicura, cioè chi sia il regista italiano più oggetto di discussioni e in un certo senso più misterioso, colui che ha meglio rappresentato il cinema italiano nel mondo, e che continua da anni a essere oggetto di documentari: parliamo di Federico Fellini, indagato e sviscerato numerose volte da registi e studiosi.

Il Maestro riminese ha avuto il privilegio di finire davanti alla macchina da presa già in vita, e nel pieno della sua attività, quando il fotografo e regista Gideon Bachmann girò il documentario Ciao, Federico! (1971), incentrato sulle riprese del Fellini Satyricon. Parecchi anni dopo la sua morte, un altro gigante del cinema italiano come Ettore Scola ha diretto nel 2013 il docufilm Che strano chiamarsi Federico, mentre è del 2020 il doc della giornalista Anselma Dell’Olio Fellini degli spiriti, incentrato sugli aspetti più occulti ed esoterici della sua vita e dei suoi film – solo per citare i più celebri. Adesso, un altro prezioso lavoro va ad aggiungersi alla corposa mole esegetica sul Nostro, cioè il bellissimo, misterioso e affascinante Fellini e l’Ombra (2021) di Catherine McGilvray, regista e documentarista più volte premiata in vari Festival: trattasi di una co-produzione fra Italia e Svizzera, presentata alla scorsa Mostra di Venezia durante le Giornate degli Autori e distribuita al cinema in questo periodo da Luce Cinecittà.

Un film che in un certo senso si ricollega alla dimensione onirica di Fellini degli spiriti, ma che si distingue per un taglio maggiormente cinematografico, grazie al certosino lavoro registico della McGilvray, a differenza del precedente che – essendo diretto da una giornalista – aveva per forza di cose un taglio più secco e scolastico, pur essendo comunque un lavoro prezioso. Fellini e l’Ombra è basato sull’analisi del lato più nascosto del regista, cioè il mondo onirico e psicanalitico che ha abitato costantemente la sua vita e che tanto ha influenzato i suoi film più famosi e importanti – in altre parole, il suo lato sommerso, come la statua tratta dal Casanova che campeggia sulla locandina.

Sceneggiato dalla stessa regista insieme agli studiosi Caterina Cardona e Bruno Roberti, il docufilm segue una via trasversale, che si distanzia tanto dalla fiction quanto dal documentario scolastico nella sua forma più classica: a guidare il racconto, c’è infatti la figura fittizia di un narratore, nella fattispecie una regista (interpretata da Claudia de Oliveira Teixeira), che funge da guida e da alter ego della McGilvray, e che nella diegesi del racconto è alle prese con una ricerca al fine di realizzare un film su Fellini. È un po’, mutatis mutandis, un’operazione simile a quella compiuta dal regista Simone Scafidi con il suo Fulci for Fake (2019), nel quale a tirare le fila del racconto c’è un attore che deve interpretare un film su Lucio Fulci, e che a tale scopo intervista vari personaggi.

Fellini e l’Ombra ha innanzitutto il merito di essere, probabilmente, il primo film a trattare con cognizione di causa il rapporto di Fellini con i sogni e la psicanalisi, il suo mondo interiore e più nascosto, il “Fellini sommerso”, cioè quell’Ombra del titolo che va rigorosamente in maiuscolo, come a voler identificare un’essenza quasi vivente. Ma ciò che colpisce della regia di Catherine McGilvray è anche la pluralità di linguaggi usati, con uno stile e un montaggio volutamente schizofrenici, non lineari, perché solo così è possibile parlare di una materia impalpabile come i sogni.

Si alternano infatti interviste a studiosi di Fellini e a personaggi che l’hanno conosciuto da vicino, momenti di fiction (con protagonista la Teixeira, che fa da narratore e da guida), materiali di repertorio e backstage, inserti di alcuni tra i suoi film più rappresentativi, disegni realizzati dallo stesso Fellini (che fu anche un illustre fumettista), il tutto intercalato dalle suggestive animazioni di Gisella Penazzi. Un mosaico complesso e affascinante, che – come ha scritto Giancarlo Zappoli su MyMovies – “ha il rigore dell’indagine e l’impalpabilità di un sogno”, poiché si muove fra un’indagine scientifica e scrupolosa e una dimensione più fantasmatica ed evocativa.

La figura centrale del docufilm – così come fu centrale nella vita e nell’opera di Fellini – è lo psicanalista junghiano Ernst Bernhard, al quale il Maestro si rivolse in seguito a una violenta depressione che lo aveva colpito durante le riprese del film La strada: un film che inoltre, secondo le parole di Gianfranco Angelucci, fu centrale nell’evoluzione della sua poetica, una sorta di svolta nella rappresentazione di Uomo e Anima, intesa come la componente più profonda dell’essere umano (l’inconscio, i sogni, i ricordi), nella quale si discende attraverso la catabasi (una mitologica “discesa agli inferi”).

La psicanalisi, in parole povere, si è sempre suddivisa nelle scuole opposte di Freud e Jung, ed è proprio nelle teorie di Jung (attraverso la figura di Bernhard) che Fellini riconobbe il proprio modo di intendere l’Anima, l’Ombra più nascosta. Angelucci, regista e scrittore che fu molto vicino a Fellini, compare più volte nel documentario, così come compare Peter Ammann, un altro psicanalista di scuola junghiana che conobbe profondamente il Nostro, intervistati dal personaggio diegetico della regista (la Teixeira). La teoria, o meglio il mistero irrisolvibile, attorno a cui ruota Fellini e l’Ombra, è il rapporto inscindibile fra la vita e il mondo dell’inconscio, fatto di sogni e ricordi, nei quali secondo questi studiosi risiede la ricerca dell’Essere.

Ma in questi casi gli esempi valgono più di mille parole, così il film racconta alcuni eventi che spiegano il rapporto di Fellini con il sogno, e che non mancheranno di impressionare gli spettatori più suscettibili al mondo del mistero: per esempio, quando Federico sognò la morte di Bernhard, che si verificò nella realtà un mese dopo, oppure quando – mentre stava progettando il suo famoso film mai realizzato, Il viaggio di G. Mastorna – gli comparvero in sogno alcuni funesti presagi che lo ammonirono a non girare mai quel film. Così come nella sua poetica rivestirono un ruolo essenziale i ricordi: basti pensare a due esempi citati, la nonna e la prostituta in riva al mare nota come Saraghina, due figure che compaiono nel capolavoro Otto e mezzo – del quale sono riproposte alcune scene, cioè le due suddette proiezioni dei ricordi e la misteriosa ed evocativa parola “Asa Nisi Masa”, un gioco di lettere che fa riferimento all’Anima (si torna cioè a quanto detto in precedenza).

La regia di Catherine McGilvray è solida, ispirata e creativa, per cui alterna continuamente i vari linguaggi cinematografici di cui si è detto sopra, accompagnandoli con musiche soffuse: dà voce a personaggi che sono stati a stretto contatto con Fellini (come Angelucci e Ammann), oltre a studiosi come la co-sceneggiatrice Caterina Cardona, e vi affianca in modo sintattico i disegni di Fellini tratti dal suo Libro dei sogni, e raffiguranti appunto i suoi sogni più disparati, oltre alle animazioni della Penazzi che cercano di esplorare il suo universo onirico, per esempio tramite figure femminili, scene astratte e ambienti riprodotti in modo visionario. Vediamo spezzoni da film come il suddetto Otto e mezzo, La dolce vita, Giulietta degli spiriti, sentiamo racconti affascinanti, come il misterioso e mai identificato ragazzino che gli sarebbe comparso nella stanza di un hotel, e viaggiamo continuamente fra passato e presente.

Il narratore intervista i personaggi sopra citati (ma anche altri, ad esempio Jost Hoerni, il nipote di Jung, e Christian Gaillard, analista junghiano e studioso del Libro dei sogni), introducendo una sorta di illusione scenica che impreziosisce il documentario e lo rende più evocativo. Ma non fa solo interviste, poiché il suo personaggio viaggia, si muove fisicamente fra gli autentici luoghi dove ha vissuto Fellini, tra Rimini e Roma: il cinema riminese, l’albergo romano, la Torre di Jung, il mare (centrale nell’universo felliniano), che sono proposti tramite una continua alternanza fra ieri e oggi, tra filmati di repertorio e immagini filmate ad hoc dalla McGilvray, con un forte senso estetico e fotografico.

Naturalmente non può mancare una parte relativa al suo rapporto con Giulietta Masina, ma colpiscono soprattutto certi momenti evocativi, come la danza finale delle ombre dietro un telo: un momento di preziosa arte cinematografica della quale Fellini sarebbe stato orgoglioso, poiché ripropone in modo così suggestivo e marcatamente felliniano i concetti di Ombra e Anima che hanno guidato la sua vita e i suoi capolavori.